L’eredità del Novecento è un doppio volume enciclopedico, 1090 pagine fitte fitte e due album fotografici allegati, che la casa editrice Treccani ha dedicato al “secolo breve”. Ne analizza i fenomeni politici, economici, sociali, culturali e di massa, grazie al contributo di autorevoli studiosi. Però trovarvi citato il periodo a cavallo tra i 60 e i 70 è ricerca complessa e di scarni risultati. Gli anni della “contestazione giovanile”, delle manifestazioni contro la guerra nel Vietnam, delle occupazioni delle università, di quello che per molti è stato il più grande sommovimento politico, sociale e culturale del dopoguerra, sono quasi dimenticati dalla nostra intellighentia.
Peggio sono pressoché sempre visti in senso negativo. Scrive lo storico Domenico Settembrini, riportando più o meno il pensiero di tutti gli autori dei contributi. “Negli anni Sessanta una nuova generazione si ribellava: i giovani reclamavano una rinascita della politica che avrebbe coinvolto e rinnovato l’uomo in nome degli eterni valori umani. Conosciamo l’esito di questa rivolta. Un altro fallimento, un altro caso di eterogenesi dei fini, il più monumentale e definitivo: la nascita della società iperconsumistica e iperpermissiva, la società dell’“è vietato vietare”.”
Non è vero. Non credete a tutto quello che dicono gli storici e gli analisti, troppo spesso partono da un’idea (o meglio da un’ideologia) preconfezionata e a essa adattano i fatti. Le tanto vituperate fake news non sono che l’aggiornamento di quella che un tempo era definita “propaganda”, capace non di rado di avvalersi della storicizzazione di analisti compiacenti.
Se volete avere un’idea corretta di quello che avvenne cinquant’anni fa e capire da soli quali furono gli effettivi esiti sulla società e sul modo di vivere e di comprendere il reale oggi, potete innanzitutto recarvi alla Fabbrica del Vapore di Milano, dove è aperta fino al prossimo 4 aprile una rutilante mostra, denominata Revolution. Musica e ribelli 1966-70. Dai Beatles a Woodstock. Un lustro, iniziato con le frangette dei Beatles, culminato nei movimenti del Sessantotto e chiuso dai grandi raduni musicali, che non solo è stato (ri)nascita politica dei giovani, non solo è stato (ri)scoperta degli eterni valori umani, ma ha profondamente inciso la coscienza sociale e ha aperto la mente collettiva verso prospettive non racchiuse nelle obsolete diarchie liberismo/comunismo oppure globalizzazione/frammentazione né tantomeno nell’huffingtoniano “scontro di civiltà”. Vedere per credere, altro che “eterogenesi dei fini”. Altro che esito contrario a quanto ci si era proposti. La società dell’“è vietato vietare” e iperpermissiva (come se al permessivismo si possano mettere dei limiti che non siano nei “permessi” cui hanno diritto gli altri) è del tutto diversa da quella iperconsumistica cui ci hanno condotto ben altri fattori economico-commerciali. Anche se…
È la moda la prima protagonista delle sei rivoluzioni individuate da Revolution, esposizione nata al Victoria & Albert Museum di Londra proprio nel 50ennale (2016) e poi esportata pari pari prima al Museum of Fine Arts di Montreal e oggi a Milano grazie ad Avatar. Benché presenti poche e poco significative – alcune foto del Piper di Roma e alcune copertine di dischi – parentesi dedicate alla realtà italiana del movimento, che pure fu da noi importante e incisivo, ma non comprensivo, come spesso è stato accusato dagli stessi “professoroni” di cui sopra, delle “code sanguinarie” del terrorismo rosso e nero degli anni 70, il percorso immersivo è vorticoso e ricco. Lo conferma il magnifico catalogo cartonato, in carta di pregio, edito da Skira (pgg. 325, euro 49).
Ricevuta la cuffia offerta insieme al biglietto (diffonde la musica di allora: Beatles, Creedence Clearwater Revival, Janis Joplin…) e dopo l’intro del magnifico dipinto Grain of Sand di Mati Klarwein – ogni “granello di sabbia” racchiude tutto il mondo, secondo l’intuizione del poeta William Blake e le tesi della fisica quantistica – ci troviamo nella Swinging London, dove i negozi di Carnaby Street, gli studi dei fotografi e le gallerie d’arte reinventano il modo di vestire e di “aprire la testa” dei ragazzi, che per la prima volta possono essere come vogliono loro e non come decidevano i genitori. Una rivoluzione stilistica e iconografica fatta di colori a volontà – nei vestiti, nelle riviste, nelle illustrazioni -, minigonne, happening, opere di Yoko Ono, la supermodella Twiggy in bicicletta, abiti futuristici di Vidal Sassoon, cartoline, riviste, Blow Up di Michelangelo Antonioni… Per un’aspirazione al glamour che è ansia esistenziale e ricerca di un nuovo ideale del corpo.
La seconda “rivoluzione” è quella della musica e della contro-cultura, della sperimentazione nei suoni, nella letteratura, nell’arte. Dal capolavoro Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, il LP dei Beatles con la magnifica copertina piena di personaggi e la classica “Lucy in the Sky with Diamonds” (il cui testo scritto a mano da John è in mostra) dedicata alla droga per eccellenza del periodo, in poi, fino alla scoperta dell’Oriente e delle sue filosofie. Le copertine della collezione di 33 giri del leggendario e scomparso deejay John Peel, che punteggiano tutta la mostra, poster di concerti, il bollettino APO-33 di William Burroughs, giornali hippie, fumetti, i modellini di Harley Davidson, la moto della libertà, foto psichedeliche… Per mille idee senza freni diffuse in maniera visibile ed economica. Poi è la volta del “dissenso”, della contestazione, del potere a tutto il popolo. Del Sessantotto, partito – e duramente represso – in Francia e sviluppatosi in “una battaglia politica e ideologica contro le istituzioni per ottenere leggi e vita adeguate al cambiamento già in atto nella società occidentale”. Il disegno War Is Over di John Lennon, caricature, foto delle manifestazioni di protesta contro la guerra nel Vietnam, manifesti di Lenin, Marx e Mao (che era ancora Tse Tung), scatole di pillole anticoncezionali, locandine di incontri per la “liberazione” di gay e lesbiche, distintivi, giornali illustrati da Roland Topor… Per un sommovimento sociale che ha cambiato il modo di pensare e di confrontarsi con il potere costituito.
Parte quattro dedicata a “costumi e consumi”, forse la parte più debole. Poche opere d’arte, alcuni oggetti di design, gli occhiali da sole di Oliver Goldsmith, vestiti, poster, giocattoli spaziali, carte da regalo con fondali per jukebox… mentre la televisione si diffonde a macchia d’olio e lo sbarco sulla Luna è un trend di evasione psicologica dalla realtà.
Di perfetta attualità la quinta tappa, che ha per temi l’ecologismo e la rivoluzione digitale, nati contemporaneamente in California in quegli anni. Per l’International Earth Day del 1970 manifestano in oltre 20 milioni e l’anno successivo vede la luce Greenpeace. La Santa Clara Valley, nel sud dell’area metropolitana della Baia di San Francisco diventa la Silicon Valley, piena di fabbricanti di microchip e semiconduttori al silicio. I primi mouse, poster psichedelici firmati David Bird e Victor Moscoso, Wes Wilson e Lee Conklin, libri sull’utilizzo ecologico del pianeta e il rarissimo Apple 1… Perché solo la comunione di progresso e salvaguardia, di conoscenza e consapevolezza, può produrre un futuro migliore.
Chiude la rassegna la parte dedicata ai festival. E al festival per eccellenza, Woodstock, di cui si può ammirare – come chiusura – l’intero film in una sala apposita con ottimo audio e cuscini a terra. Pace, amore e musica, immersi nel verde insieme, ballando, cantando, parlando, discutendo e facendo sesso. La lettera di Paul McCartney che annunciava lo scioglimento dei Beatles, fotografie, riviste dedicate, biglietti per il festival dell’isola di Wight, anelli e collane indossati dai cantanti, la chitarra distrutta da Jimi Hendrix a Monterey, programmi, fumetti… Perché la musica è parte integrante di ogni rivoluzione.
Non una mostra nostalgica, anzi. A Londra in quattro mesi l’hanno visitata in oltre 260mila perché la ricerca esistenziale di quegli anni, che rispondeva alla domanda “cosa possiamo fare per migliorare?”, rimane viva e vegeta ancora oggi. Alla faccia di chi non è mai riuscito a comprenderla.