“Non abbiamo armi” di Ermal Meta. Mettersi a nudo per raccontare la vita

0
Ermal Meta

E poi si spengono le luci sul palco dell’Ariston, arriva il lunedì e ricomincia la vita normale. Certo, conta aver messo in tasca la vittoria. Ma conta ancor di più quel che si ha da proporre. Ed Ermal Meta, che assieme a Fabrizio Moro ha vinto Sanremo, ha da proporre un album nuovo di zecca, uscito da un paio di giorni. È il terzo, per lui come solista. Ed è il più bello dei tre.
«Questo disco», dice, «mette insieme Umano e Vietato morire, ma proiettandosi in avanti, andando verso altre direzioni. L’anno scorso ho fatto tanti concerti, ricavandone molti stimoli. Giravamo su un furgone, e spesso prendevo appunti sul telefono. Ho una cartella piena di appunti, ci sono note vocali e singole strofe. Lì dentro c’è davvero tutto. È una specie di Wikimeta».
Ermal è un fiume in piena, all’inizio dell’incontro dice che vuol fare ascoltare le canzoni di Non abbiamo armi e basta. Invece racconta un sacco di retroscena e lo fa mettendosi a nudo, parlando con la passione che lo contraddistingue. «Sì, se vogliamo chiamiamola pure urgenza di esprimersi. Il mio è un bisogno di buttare fuori cose. È una sorta di esigenza narrative, un’autoterapia. Un sacco degli appunti di cui parlavo prima sono diventati canzoni per altri. È quando dico una cosa ad alta voce che mi rendo conto se è giusta, se va bene per me o se è meglio indirizzarla altrove. Io quando sono in studio recito i versi. Quando incisi Umano ero da solo, quindi era un po’ come parlare con un altro me. È stato allora che mi sono accorto che i significati cambiano a seconda della situazione. Le parole sono come atomi e gli atomi vibrano. Queste vibrazioni rendono diversa ogni singola parola».
Poi aggiunge: «Il mio obiettivo è sempre la sincerità espressiva. Non ho paura delle cose che mi accadono intorno. Non credo mi si possa etichettare, io non ho un suono preciso. Un grosso stimolo a scrivere in modo chiaro e comprensibile me lo ha dato Mogol. Con lui ebbi un incontro epico nel novembre del 2005: tutti quelli che avrebbero partecipato al Sanremo giovani dell’anno successivo furono invitati al Cet. Io andai con gli Ameba 4. Ad un certo punto mi avvicinai a Mogol e gli feci leggere un testo. Dopo averlo letto, mi domandò: “Cosa vuoi dire?”. Io glielo spiegai e lui ribatté secco: “E dillo, no!”. In quel preciso istante ho compreso che se vuoi arrivare alla gente devi farti capire, raccontare la verità, fotografarla, mostrare la tua nudità emotiva. Da allora in avanti mi sono sempre messo a nudo».
Fatte queste premesse, arriviamo al disco e diciamo subito che è un album molto bello, composto da 12 brani che costituiscono un puzzle carico di emozioni, atmosfere, immagini, momenti, ritmi differenti: si passa dal funkettone che fa battere il piede a tempo di Dall’alba al tramonto a canzoni davvero intime come 9 primavere. La canzone che dà il titolo all’album, Non abbiamo armi, è un brano lento molto emozionale, una sorta di “continuazione” di quella che ha vinto a Sanremo, Non mi avete fatto niente: parla del tempo che passa (“il tempo è l’esercito dei suoi miliardi di secondi che attraversano tutto”) ed è stata scritta a quattro mani con Angelica Schiatti dei Santa Margaret.
Io mi innamoro ancora ha un testo quasi scherzoso. Parte piano poi inizia a girare forte: è una canzone che invita alla danza, ed ha un ritornello che acchiappa. Le luci di Roma è bellissima: inizia con qualche accordo di piano, poi sale e sale ancora, anche questa caratterizzata da una voce femminile. È un pezzo che durante i concerti farà scattare l’effetto telefonini accesi (scusate l’inciso: ma non erano molto meglio gli accendini?).
E arriviamo a quella che per alcuni è la canzone migliore, Caro Antonello. Sì, l’Antonello in questione è proprio lui, Venditti. Racconta Ermal: «Ci siamo frequentati in un periodo sentimentalmente per me molto difficile. Siamo diventati amici, così ho iniziato a parlargli dei miei problemi. Secondo me lui è il più bravo a scrivere canzoni che raccontano la crisi di coppia. Scherzando ma non troppo, gli dico sempre che lui ci ha preso per il culo tutti (dicono alcune strofe: “c’hai fregati tutti / ci hanno fatto male / le tue canzoni d’amore / ma almeno mentre si canta / non si può mai morire”, n.d.r.), nel senso che dopo di lui come si fa a scrivere di queste cose? Lui invece mi ha spronato a farci una canzone, ed è stato come un flusso di scrittura. Musicalmente è un mid tempo che non cambia mai, sono sempre gli stessi tre accordi. Ho provato ad intervenire con qualche cambio armonico, ma la uccidevano. Questa canzone l’ho scritta in un’ora e l’ho cantata a notte fonda, c’era soltanto una lampadina accesa».
Il vento della vita e Amore alcolico sono due brani uptempo: la seconda ha un testo molto scanzonato ed Ermal conia un neologismo, “innammazzato”. La strofa completa è: “con te mi sono innammazzato anch’io” ed ovviamente ha un intento ironico.
Seguono un brano lento, Quello che ci resta, e uno dal ritmo tribale, Molto bene, molto male, caratterizzato dal suono della batteria. Rivela Ermal: «Siccome non volevamo sovraincisioni, doveva essere registrata tutta in una volta sola. Quindi il tecnico di studio ha dovuto fare un lavoro della madonna per piazzare 35 microfoni. Un delirio, ma direi che abbiamo ottenuto il risultato che avevamo in mente».
Il pezzo di chiusura, Mi salvi chi può, sotto certi aspetti è la canzone più importante del disco, perché indica qual è la direzione musicale che Ermal intende seguire in futuro. È un brano molto lungo (dura 5’53”), in pratica sono due canzoni, e la seconda parte col suo crescendo emozionale quasi sinfonico basato su un potente tappeto di tastiere lascia intravedere quello che Ermal immagina come futuro sviluppo della sua proposta artistica. Ormai sta diventano una tradizione: Schegge, brano di chiusura del primo album Umano, anticipava quello che sarebbe stato il disco successivo. E Voce del verbo, posta in chiusura di Vietato morire, era una sorta di anteprima dell’album appena uscito.
Altra curiosità riguardo Mi salvi chi può: Ermal l’ha scritta il giorno di Natale. Racconta: «Per me Natale è un giorno come un altro, anzi, non amo proprio festeggiarlo. Ero in studio, il disco era praticamente finito, ma io sentivo che mancava qualcosa. All’improvviso è nato questo pezzo, l’ho inciso e soltanto a quel punto ho capito che Non abbiamo armi era davvero risolto».
Fate caso a come finisce: Ermal pronuncia la parola “fine”. Poi c’è un respiro…

Massimo Poggini è un giornalista musicale di lungo corso: nella seconda metà degli anni ’70 scriveva su Ciao 2001. Poi, dopo aver collaborato con diversi quotidiani e periodici, ha lavorato per 28 anni a Max, intervistando tutti i più importanti musicisti italiani e numerose star internazionali. Ha scritto i best seller Vasco Rossi, una vita spericolata e Liga. La biografia; oltre a I nostri anni senza fiato (biografia ufficiale dei Pooh), Questa sera rock’n’roll (con Maurizio Solieri), Notti piene di stelle (con Fausto Leali) e Testa di basso (con Saturnino) e "Lorenzo. Il cielo sopra gli stadi", "Massimo Riva vive!", scritto con Claudia Riva, "70 volte Vasco", scritto con Marco Pagliettini, e "Lucio Dalla. Immagini e racconti di una vita profonda come il mare".

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome