Eric Clapton, il blues e gli amori impossibili

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“Eric Clapton: Life in 12 Bars” è la glorificazione del più rilevante chitarrista britannico dell’era rock, ma anche la storia di una immensa solitudine risoltasi solo dopo il peggiore dei drammi.

Che Clapton sia stato un eccelso chitarrista, uno dei principali artisti rock della storia è inutile sottolinearlo. Che la sua storia sia stata intrisa di blues, di amori perduti, di alcool e droghe, di successi e fughe è altrettanto ovvio e noto, anche se non tanto quanto questo film narra, in oltre due ore di racconto in prima persona di tutti i protagonisti principali, con immagini d’epoca e filmati privati o perduti.

Eric scoprì il blues dalla musica diffusa per radio all’interno di programmi per bambini. Finì per farsi regalare e una chitarra e comprare tutti i dischi possibili, perdendo le giornate a suonarci sopra. Figlio di una notte d’amore di un soldato canadese e una giovanissima britannica che lo abbandonò ai nonni per andare oltre oceano, Eric fu cresciuto da questi ultimi convinto fino a 9 anni che questi fossero i veri genitori, e si rese conto, lui timido e introverso, spesso emarginato, che quello della madre era stato un vero e proprio rifiuto che si protrasse anche quando questa tornò un giorno con un’altra famiglia e un altro figlio.

Per placare i suoi tormenti interiori Eric aveva un solo modo: la musica, con la sua chitarra e i suoi blues. Erano tempi in cui i ragazzi si sfogavano trovando credito e divertimento suonando, e Eric cominciò a farsi apprezzare. Fu chiamato negli Yardbirds di Keith Relf e Chris Dreja, dove poteva finalmente dare sfogo alle sue linee blues negli stessi anni in cui cominciavano a farsi notare i Beatles (“che consideravamo dei coglioni”, ricordano gli Yardbirds), gli Animals e, poco dopo, i Rolling Stones.

Appena gli Yardbirds incisero una canzone pop che li avrebbe portati al successo commerciale, Clapton chiuse le registrazioni e li lasciò. Lui voleva suonare il blues, le 12 misure standard del titolo. Fu John Mayall, uno dei due padri del blues inglese (l’altro era Alexis Korner) a offrirgli uno spazio adeguato nei suoi Bluesbreakers. Ma Clapton era insofferente del fatto che la gente andasse a sentire suonare lui e non il gruppo nel suo insieme, e che cominciasse a idolatrarlo tanto da scrivere sui muri di Londra Clapton is God, Clapton è Dio.

Da qui in poi tutta la storia si dipana fra versioni alternative, chiarimenti privati e lievi omissioni. Si celebra l’amicizia con Jimi Hendrix, non la sorpresa di incontrare uno che suonava meglio di lui, si dà conto della sua scarsa socialità e dell’egoismo che gli fece lasciare i Bluesbreaker senza preavviso per formare i Cream, l’amicizia con George Harrison che si trasformò in amore per la di lui moglie, Patty Boyd, fino a diventare una ossessione durata anni e sfociata nell’album targato Derek & The Dominoes. La droga, poi l’alcool che lo rese ingestibile per anni, i concerti chiusi dopo mezz’ora, i dischi che poi definì “imbarazzanti” perchè registrati da ubriaco, pur contenendo ciascuno elementi di novità, fra cui l’anticipazione del fenomeno reggae, il senso di inutilità e di morte incombente, tale da svuotarlo e tenerlo anni lontano dalle scene (la sua apparizione in tour con Delaney & Bonnie è del tutto omessa).

Scorriamo tutto il gossip della storia tra Eric e Patty alle spalle di Harrison, i due trovati insieme in un parco dal Beatle che impone alla moglie di scegliere e Patty sceglie Harrison, gli anni lontano, poi il divorzio di Patty e George e lei che raggiunge finalmente Clapton a sorpresa e la storia comincia, ma lui non è più davvero lui, è uno che prima di pranzo si è già scolato una bottiglia di brandy

Ci sono qui dei tasselli della memoria che ritrovano il loro posto.

Ricordo di aver incontrato Clapton in un albergo di Milano prima di un suo concerto. C’era il mio amico Guido Toffoletti, bluesman veneziano, che voleva fargli dono dei suoi dischi, quelli suonati con alcuni suoi amici inglesi che con Clapton avevano fatto la stessa storia, Mick Taylor, Herbie Goins, Alexis Korner, Ian Stewart. Restammo con lui e i musicisti mentre Clapton sfogliava e apprezzava le copertine degli album. Girato l’angolo della sala bar andai praticamente a sbattere contro Lori Del Santo e mi chiesi che diavolo ci facesse lì la modella veronese. La rividi al concerto, entrare da una porta di lato con tre o quattro suoi amici e fissare il palco dove Eric stava tenendo il suo concerto.

E’ lui a raccontare nel film che quello fu il giorno del loro incontro, lei presentatagli dal manager (credo fosse Franco Mamone), del grande amore che durò quanto basta per lasciare una incazzatissima Patty e sentirsi poi dire da Lori alla fine della loro storia: “Peccato, perchè sarei incinta”.

Clapton voleva stabilirsi a Milano. Armani cominciò a fornirgli eleganti vestiti, e fu così che lo incontrai di nuovo a una notte della moda in cui girava in smoking mentre Elton John preparava il suo concerto all’interno del Castello Sforzesco. Diluviava. Il cortile interno era stato coperto con dei tendaggi e dei tralicci per la cena degli ospiti ma nessuno poteva immaginare quanta acqua sarebbe caduta e con che intensità. Fu deciso di togliere i tavoli e spostare tutto ai lati. Passò Stallone: gli urlai: “Sly, stai attento che qui vien giù tutto”. Mi guardò inarcò il sopracciglio e girò al largo verso il suo tavolo guardando preoccupato la copertura. Elton John cominciò il suo concerto davanti al vuoto. Pochi minuti e la copertura si piegò sotto il peso dell’acqua rovinando sul banco del mixer e intrappolando il fonico sotto i tralicci. La festa finì lì con i soccorsi, gli ospiti allontanati e i lamenti del fonico che, poi si seppe se l’era cavata con una gamba rotta e un enorme spavento.

La nascita di Conor fu una rivoluzione emotiva per Clapton che finalmente sembrò aver trovato uno scopo nella vita. La sua morte, quattro anni dopo, precipitando dalla finestra aperta di un grattacielo di New York, fu la tragedia che cambiò letteralmente l’esistenza del chitarrista. “Decisi che avrei dovuto vivere per rispettare il ricordo di mio figlio”.

Per Clapton fu una rinascita, artistica, umana. Liberatosi dalle sue dipendenze, Eric ha anche trovato nel frattempo una famiglia stabile con cui avere rapporti veri e normali, ha reso omaggio ai suoi amori blues e alla sua musica, ideando il Festival Crossroads e aprendo un centro di riabilitazione dalle dipendenze per non abbienti.

Il docufilm di Lili Fini Zanuck si chiude con le parole di B.B.King alla platea del Crossroads: “Spero che Clapton viva almeno un giorno più di me che ho 81 anni, per sentirvi ripetere questa cosa: che io e lui siamo amici”.

B. B. King. Foto di Giò Alajmo 2004

Di Clapton oggi si hanno notizie contrastanti dopo il temporaneo ricovero in ospedale qualche tempo fa. Eric, 72 anni, ha spiegato di avere problemi di udito e una neuropatia degenerativa che gli procura dolori alle articolazioni e gli rende spesso difficile suonare. Ma conta di essere ancora in concerto la prossima estate per alcune date, fra cui New York, Los Angeles e Londra, in luglio a Hyde Park.

Muddy Waters, B.B.King gli riconoscono di aver aperto le porte del blues a generazioni di giovani bianchi americani, e di aver cambiato loro la vita. In realtà lo hanno detto di tanti, a partire dai Rolling Stones, ma qui è di Clapton che si parla. E la sua vita “in 12 bars”, le dodici misure musicali della struttura classica del blues, ha sicuramente segnato la storia musicale tra questi due secoli.

Giò Alajmo

(c) 27 febbraio 2018

Giò Alajmo ha la stessa età del rock'n'roll. Per 40 anni (1975/2015) è stato il giornalista musicale del principale quotidiano del Nordest, oltre a collaborare saltuariamente con Radio Rai, Ciao 2001, radio private e riviste di settore. Musicalmente onnivoro, è stato tra gli ideatori del Premio della Critica al Festival di Sanremo e ha scritto libri, piccole opere teatrali, e qualche migliaio di interviste e recensioni di dischi e concerti.

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