Pino “era” così: l’ultima intervista

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Pino Daniele in Arena 2014. Il gran finale (c) Giò Alajmo

Con Pino Daniele ci salutammo nel pomeriggio del suo ultimo concerto all’Arena di Verona, il solito grande raduno di amici e ospiti, con l’orchestra e la sua band storica. Ci sedemmo sulle scale di un arcovolo che portava alla galleria, un po’ al buio che così la luce non gli dava fastidio agli occhi malandati. Mi presentò la sua nuova compagna, arrivò una figlia, era sereno e tranquillo nonostante il cuore ballerino. Pino l’avevo visto esordire in Arena con Salvetti che nel ’79 gli aveva fatto cantare “Je so’ pazzo” e i ventimila del Festivalbar chiudere in coro la rima più famosa che in tv non si poteva ancora dire.

Verona gli piaceva. Qui aveva trovato in un negozio la sua famosa chitarra acustica amplificata che gli aveva dato il tipico suono dei suoi album migliori, a cui però non aveva voluto legarsi troppo, sempre desideroso di sperimentare altro. Qui aveva ambientato un suo video, fra le chitarre vintage del collezionista Pierpaolo Adda.

Napoli gli ha reso omaggio, con la solita parata di star più o meno legate alla Friends & Partners di Ferdinando Salzano, da tempo deus ex machina dei grandi live di artisti italiani, ricordando l’impegno sociale e benefico di Pino e le sue canzoni, l’amicizia con Massimo Troisi, la varietà della sua musica, che spaziava dal jazz al blues alle tradizioni popolari mediterranee inserendo continuamente nuovi elementi.

Pino era un musicista. Che suonasse negli stadi pieni o nei teatri o anche solo intrattenendo gli ospiti di qualche cena vip (non si era risparmiato nulla in carriera) per lui contava soprattutto la musica. I suoi dischi avevano avuto successi clamorosi o erano stati quasi ignorati, a seconda degli umori.

Come tutti i grandi musicisti della musica amava i silenzi, le pause. Lo ha ricordato Elisa.

Molti degli artisti con cui aveva collaborato o stretto rapporti o cantato op che erano stati con lui a Verona poche settimane prima della sua scomparsa, erano a Napoli a rendergli omaggio.

La rete si è scatenata contro le varie performance e lo spettacolo, la critica pure. Io sono certo che a Pino sarebbe piaciuto, perché comunque c’era tanta gente, tanti amici, e protagoniste erano le sue canzoni quelle che comunque solo lui sapeva interpretare in quel modo.

Quattro anni fa, dopo Verona e l’annuncio di una nuova serie di date con la band di “nero a metà” gli telefonai per completare le chiacchiere sotto l’arcovolo. Mi parlò dei suoi progetti, della sua curiosità per l’hip hop, del piacere di fare le sue canzoni con gli amici. Fu l’ultima volta che lo sentìi.

Pino Daniele con Emma (c) 2014 Giò Alajmo

«Continuiamo a divertirci, un po’ acustico, un po’ elettrico, facciamo esperimenti… questo deve fare un musicista – dice Pino -. Questi concerti non sono un’operazione di marketing, è la storia di un artista, poi piace a chi piace. Io sono contento».

La storia di un artista che ha avuto molti alti e bassi…

«Ma certo, ma è cambiato così tanto il sistema che non sai che succede da un anno per l’altro. Io continuo il mio percorso. Grazie a Dio e “faccia a terra”, come si dice dalle mie parti».

A Verona i duetti sono stati in parte riusciti in parte meno. Qualcuno ha criticato anche la scelta di affollare le tue canzoni così tanti ospiti, Fiorella Mannoia, Elisa, Emma, Mario Biondi, Renga. Che ne pensi?

«Ma volevo solo la presenza degli amici, senza pensarci su troppo, senza paranoie. Chiunque avesse voluto gli dicevo “vieni”. È stata una jam continua anche con queste canzoni, ed è sempre bella la jam session, l’improvvisazione, è come suonare degli standard. Anche Clementino, Rocco Hunt che sento spesso, impazziscono per queste cose».

Ti piace l’hip hop?

«La musica che ascolto oggi è troppo schematica. C’è gente che ha capito cosa funziona e replica certe cose all’infinito, dà alla gente quello di cui ha bisogno per divertirsi, roba da karaoke, da discoteca, non per chi ama suonare. All’estero non funziona così, si fanno ancora cose musicalmente bellissime. Oggi credo più nell’hip hop che nelle canzoni, perché a parte forse Vasco e pochi altri, le canzoni di oggi le capisco poco mentre l’hip hop è più bello, poetico. Negli anni ’70/’80 ogni artista aveva una propria identità di suono. Sapevi come suonava la Pfm, Guccini, Battiato, De Gregori. Oggi non più. Oggi decidono i produttori, ci mettono gli effettini, campionano, elaborano. Ma viva la semplicità. I giovani artisti vivono la musica più come una cosa da intrattenimento, chi ha un bel testo, chi un buona canzone, ma c’è tanta confusione e noi “vecchi” siamo punti di riferimento. Emma per esempio è una fan mia e di Gianna Nannini. Ci seguono. In questo tour suoniamo tanto, non c’è l’orchestra, ma ci sono gli amici, qualcuno che verrà a sorpresa. E mi piacerebbe avere qualche rapper della nuova leva».

I progetti si interruppero una sera di gennaio, quando il cuore ballerino decise di prendersi una lunga pausa.

Ciao Pino.

Giò Alajmo

(c) 8 giugno 2018

Giò Alajmo ha la stessa età del rock'n'roll. Per 40 anni (1975/2015) è stato il giornalista musicale del principale quotidiano del Nordest, oltre a collaborare saltuariamente con Radio Rai, Ciao 2001, radio private e riviste di settore. Musicalmente onnivoro, è stato tra gli ideatori del Premio della Critica al Festival di Sanremo e ha scritto libri, piccole opere teatrali, e qualche migliaio di interviste e recensioni di dischi e concerti.

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