Molti improvvisati musicisti sono convinti che basti aggiungere due chitarre molto distorte su un ritornello insignificante per fare del rock. Oppure darsi un nome che immaginano alternativo mentre lo è quanto farsi crescere la barba in epoca di anacoreti di mamma, o affrontare argomenti che nella insipienza con cui sono condotti svelano una fessa attitudine a blandire.

Molte altre cose che si fanno in musica, specie nella musica popolare, sono baggianate, come ad esempio cantare con la “t” all’inglese, mentre se la usassimo nel parlato di ogni giorno riveleremmo quello che in verità si è: dei cretini. Il fatto che lo facciano in tanti, compresi tanti presunti validi, non toglie che sia una cretinata.

  La demenza è un’attitudine tanto dilagante da richiedere una discesa in campo per indicarla e stroncarla sul nascere come un fuoco a bordo.

   La maggior parte di coloro che si lanciano nel mare magnum della rete – dove vale ogni cosa e il suo contrario, dunque niente più vale – vengono talvolta drogati dal dato inebriante rappresentato dalla moltitudine di persone, o presunte tali, che manifesterebbero il proprio consenso alle più palesi cretinate. Molti, moltissimi, sono ad esempio convinti del fatto che basti ottenere 20.000 o anche 400.00 o un milione di “mi piace” o di “visualizzazioni” su una piattaforma virtuale per essere “diventati” importanti.

   L’importanza conferita dal successo sulla rete a dire il vero è tenuta in massima considerazione praticamente da tutta la cosiddetta industria culturale. Da ciò consegue che se il tuo blog è visitato da svariate migliaia di lettori virtuali, sarà più facile ottenere i favori di un editore di spicco, e lo stesso dicasi per coloro che sbancano in musica su certi portali “sociali”, assurgendo di conseguenza di diritto a ben altri scranni ufficiali. Finiscono in libreria, negli stadi, al cinema.

Ci sono insomma condizioni nuove che, ancorché prive di un filtro di qualità, farebbero “diventare” importanti. Il verbo diventare assume qui un significato del tutto speciale, poiché indica il fatto che la notorietà più gratuita aggiungerebbe alle nostre qualità una certa modificazione, facendo di noi qualcosa che prima non eravamo.

   Fortunatamente, nessuno può diventare mai qualcosa di diverso da ciò che già è.

La dilatazione, l’ingrandimento, la magnificazione di qualunque cosa non significa per forza una miglioria della cosa in sé, mentre è certo che potenzi il suo lato peggiore. Una mosca, una formica, una zanzara, in natura rompono le scatole già così da minuscole, possiamo solo immaginare cosa sarebbero se si potesse magnificarle.

   Puoi benissimo essere una nullità, ma se il tuo essere nulla viene riconosciuto, condiviso e apprezzato da (presunti) milioni di individui perduti come te in una falsa e per ciò fuorviante convinzione, allora il tuo niente ordinario e (quasi) innocuo diviene un gigantesco e pericoloso Niente.

Infatti dopo un periodo di relativa inconsistenza nel virtuale, il pubblico del niente condiviso è divenuto reale, e riempirebbe o riempie le arene, elegge in politica. La zanzara è dunque diventata un mostro.

   Ci siamo tanto raccontati l’un l’altro la menzogna che ciò che conti sia presenziare, ottenere visibilità e consenso, tanto ci siamo adagiati su tale falsa convinzione, che questa si è tramutata nel cancro della convenzione, e questa nella fatalità della ricerca di tale consenso ad ogni costo.

Il presidente Trump non ha fatto mistero di essersi inventato un mucchio di balle pur di fare colpo sull’opinione pubblica e dunque prevalere al momento dell’elezione. E questo per lui è meno fraudolento (o non lo è affatto), rispetto all’accusa di essersi fatto aiutare a divenire il nuovo mostruoso presidente degli Stati Uniti da misteriosi meccanismi informatici mossi dal Cremlino.

   Da questa tristissima considerazione sui tempi dei quali ci tocca essere contemporanei, si può estendere il ragionamento a molte delle cose che oggi peggiorano ogni ora di più il nostro vivere.

Quando una cosa non vera viene perseguita ad ogni costo, diviene infatti una realtà politica, e insiste sulle sorti collettive.

   Non solo in America, ma anche da noi, nel vecchio continente, (che pure in passato dovrebbe essere stato immunizzato da menzogne spacciate per vere, producendo tragedie immani) – nei Parlamenti, compreso nel nostro, che sono per definizione luoghi dove si parla ufficialmente e parlando si dicono anche idiozie, ogni giorno c’è un cretino che in quanto tale dice cose inaccettabili dal punto di vista intellettivo, e queste spesse creano molto consenso, diventano cioè molto popolari, ma non per questo meno stupide, oppure sono molto stupide proprio perché popolari, o molto popolari perché stupide.

Ora, adagiarsi sul consenso ottenuto e in ragione di questo credere di aver raggiunto il potere della notorietà, dunque presumibilmente la fine di ogni problema personale (che è alla base della ricerca compulsiva del successo: chi ambisce al potere è per definizione un impotente di per sé), è una convinzione diffusa che sta facendo del male a tutti, esattamente come un virus subdolo che in modo non solo indolore ma persino con la blandizie di una certa piacevolezza, sta rincretinendo l’intera parte occidentale o tecnologicamente intaccata del mondo.

   Prendi una persona che stia piuttosto bene con se stessa, tra alti e bassi, tra miserie e volontà di emanciparsi da esse, e non sentirà alcuna pulsione irrefrenabile a divenire idolo di un qualunque ambito. Vorrà prima di tutto essere giusto e grande per se stesso. Che è anche l’unico vero modo per essere giusti e grandi. Prendi una nullità e proponigli l’escamotage per provare ad assurgere a mito, e perseguirà tale scopo non solo con tutte le proprie forze, ma anche ad ogni costo.

   Ed è proprio questo confine il discrimine tra il delirio personale e il guaio collettivo.

Se io perseguo un fine ad ogni costo, vuol dire che sarò disposto a passare sopra ogni cosa e sopra ogni persona. Non mi importerà di far del male, di turbare, di disturbare, di intaccare, di deturpare, di violentare, di deviare, di deformare, di drogare, di forzare né di uccidere chicchessia, dunque idea, atto o individuo che sia.

   È il solo vero limite tra l’immaginare cose inaccettabili che soddisfino il mio piacere personale ed il passare ai fatti.

Chi pensasse che il ragionamento qui espresso sia esagerato, può smettere di leggere, ne ha la piena facoltà. Per gli altri c’è, diciamo, un’ipotesi dialettica, basata sull’osservazione di ciò che ci accade intorno, e una sperabilmente ragionata capacità di replica. Che io accoglierò con piacere.

   Poiché dobbiamo distinguere un prima e un dopo la fase più accelerata della tecnologizzazione, e siccome la tecnologia è un meccanismo antropologico in base al quale una volta raggiunto un certo livello non si torna indietro a meno di forti sofferenze, allo stato attuale siamo, come si dice, fottuti.

Spero sia chiaro il concetto.

   Si tratta solo di capire se la cecità, la sordità, la menomazione intervenuta sia per sempre, sia irreversibile, oppure se la coscienza, la consapevolezza e il senso di ciò che è fertile, quella parte di me stesso cioè che non so più avere, possa essere recuperata.

Il fatto che ora con la moltiplicazione di mezzi di sostegno, di divulgazione e di contagio io mi senta più storpio di quando il raggiungimento di un qualunque traguardo era mediamente più difficile, dunque frutto di un costante e serio lavoro, dice qualcosa di me e del mondo che ho contribuito a creare.

   Questo tipo di mondo, dal quale ci mettevano in guardia i più acuti pensatori già all’inizio del secolo scorso, sia chiaro non l’ho fatto io, ma naturalmente questo non mi esenta dal sentirmene comunque a mio modo co-responsabile, e così offro il mio contributo, come quando scorgendo in mare un oggetto in plastica, per schifoso che sia e benché non sia stato io a buttarvelo, non mi sottraggo dal dovere di raccoglierlo.

   Ci sono molti altri gesti fertili che siamo chiamati a fare e gesti demenziali che siamo chiamati a non fare. In musica come su internet, nella vita personale come in quella pubblica. Anche e soprattutto in Parlamento.

Si tratta solo di capire se si vuole davvero vivere, oppure no.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

1 COMMENTO

  1. La tua idea espressa Onorato, sintetizza una realtà odierna e “tecnologica” dei nostri tempi di oggi, quanto più vera e quanto più negabile dalla maggior parte di un collettivo umano “condizionabile”.
    Da “nullità umana” in cui metaforicamente mi rispecchio, per interderci, credo ci siano molte più false persone che credono nel mito del web come gloria ed arrivo personale all’apice della propria vita, se non degli stessi autori che hanno trovato metodi a dir poco paradossali per raggiungere popoli e nazioni di “imbecilli”.
    La tua, è una chiara risposta a ritrovare autenticità del proprio stile di vita e non solo.
    Dal mio punto di vista, molti “imbecilli”, fincono di esserne tali.
    Ma il fenomeno, ha esteso le sue metastasi come un cancro.
    La verità rimarrà sempre la luce per ogni persona; la vera autenticità.

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