Riccardo Sinigallia: «L’indie di oggi è meno fresco del pop degli anni ’80»

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@ Fabio Lovinio

Si apre una nuova stagione musicale. A inaugurarla, nel migliore dei modi, è Riccardo Sinigallia, che domani torna con Ciao cuore, album anticipato nelle scorse settimane dall’omonimo singolo. Pezzo accompagnato da un videoclip con Valerio Mastandrea, presente anche nei credit del disco come coautore di Che male c’è, dedicata a Federico Aldrovandi.

Hai detto che Ciao cuore è un album in cui ogni canzone porta la tua impronta. Ogni lavoro però porta in sé una novità. Qual è la novità di questo album?
Ce ne sono diverse. Forse quella più evidente è un ritorno a un cantato più giovanile, più canzonettaro. Avevo voglia di fare un disco che richiedesse meno impegno nell’ascolto, limitatamente a quanto io possa fare una cosa del genere.

Il disco è una “lunga canzone” che inizia alla traccia numero 1 e finisce alla 9, con lunghe introduzioni e code strumentali. È un effetto voluto?
Non c’è una volontà precisa e premeditata, ma direi che è una caratteristica di tutti i miei album. Quelle di Ciao cuore sono canzoni molto diverse tra loro. Il fatto che lavori in solitudine curando ogni parte della registrazione fino a ogni cambiamento del mix fa sì che l’opera diventi un “unicum” e questo è un motivo di orgoglio per me. Anzi, credo che sia il minimo che ogni artista possa fare. Mi piace pensare che la musica pop possa fare quello che si fa, ad esempio, con la pittura, in cui l’artista è artefice di tutta l’opera.

Le uniche due eccezioni a questo lavoro “in solitudine” sono le collaborazioni con Franco Buffoni e Valerio Mastandrea…
Sì, ma con loro c’è stata una collaborazione autorale e non di realizzazione dell’opera. Franco Buffoni è un poeta contemporaneo che ho scoperto grazie a Renato De Maria, che l’aveva citato nel film tratto da un romanzo autobiografico di Aldo Nove, La vita oscena. Un giorno Aldo Nove ha pubblicato una poesia di Buffoni, che era il testo che poi ho inserito nel disco. Rimasi molto colpito da quelle parole. Provai una specie di rapimento, condivisione profonda di questo testo, che ho provato immediatamente a musicare. È venuto fuori un giro armonico secondo me “molto giusto”. Ed ecco So delle cose che so.
Mi piaceva l’idea di aprire l’album con una poesia. In questo periodo storico sembra quasi una provocazione. In realtà buona parte della canzone popolare, della musica rock-pop nasce dalla fusione tra poesia e musica ed è importante ricordarci che la poesia non è una cosa su cui “cagare sopra”. L’idea di mettere un poeta contemporaneo italiano mi piaceva molto.

Quanto a Mastandrea?
Un giorno è venuto da me e mi ha portato un file: erano due facciate, scritte di suo pugno, sulla vicenda di Federico Aldrovandi. Mi ha chiesto di far diventare queste due pagine una canzone. Ogni tanto lui ha queste “urgenze”, che non definirei neanche politiche: sono una specie di espiazione, non so da cosa. Ci sono argomenti per i quali avverte una grande pulsione sentimentale, politica e personale. La vicenda Aldrovandi lo aveva colpito molto ed è riuscito a trasmettermi questa urgenza. Io, nonostante avessi molto pudore, ho lavorato a lungo sul testo, l’ho musicato ed è uscita una canzone che non potevo fare a meno di inserire nel disco.

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In Le donne di destra di fatto solidarizzi con le “donne di destra”, costrette per esempio ad andare al mare truccate più per non venire meno al loro “status” di donna di destra che per un effettivo desiderio?
Non solo solidarizzo, ma provo una vera e proprio infatuazione per questi esseri così affascinanti. Avevo una base e ho “vomitato” le parole: sentivo il bisogno di scriverle. Sono rapito da queste donne. Magari, come dico nel finale della canzone, nel giro di breve la mia “parte razionale” ha il sopravvento e allora mi stanco… ma a volte no. Mi piacciono molto le donne che sanno giocare con la loro femminilità. Addirittura mi piacciono gli uomini che sanno giocare con la loro femminilità! E quindi quando una donna sa usarla, sa giocarci e ne è consapevole, io ne sono inevitabilmente attratto.  E questa è anche una critica a certe donne di sinistra, che rifiutano questa possibilità.
Comunque, io parlo di “donne di destra”, però bisogna capire che ampiezza ha questo termine. Anche se credo sia abbastanza chiaro…

Dopo un pezzo che si chiama Le donne di destra, è rischioso metterne un altro che si chiama Dudù…
Mi daranno del fascista, come fanno con Battisti! Hai ragione, ma che devo fare? Le canzoni sono più forti di me. Dudù fortunatamente non è riferito al cane di Berlusconi, che non ho avuto il piacere di conoscere, ma è una bambinaia che ha cambiato la vita a me e a mio fratello.

Sei il precursore di una certa scena. Quella che adesso conta figli come Motta e Coez, che non a caso hai prodotto. Puoi considerarti il “padre” dell’eliminazione dello scarto tra indie e mainstream?
Il precursore non lo so. Direi piuttosto il primogenito. Perché quello che faccio adesso lo faccio da quando avevo 12 anni. Le canzoni che scrivevo nel 1982 sono identiche a quelle che scrivo adesso. Non so come i gruppi “indie” di oggi siano arrivati a scrivere in questo modo. Io lo faccio dai primi anni ’80. Ho combattuto il mainstream italiano, ma soprattutto le metodologie discografiche. Ancor più che il genere in sé, che comunque trovavo piuttosto limitato: di derivazione statunitense e anglosassone, per cui a volte diventava addirittura “non-sense”. Ma allo stesso modo ho combattuto la musica alternativa che aveva gli stessi pregiudizi e preconcetti del mainstream.
L’indie di oggi è il pop di ieri. Con la differenza che molte delle cose che oggi fanno “i numeri” sono meno fresche del pop degli anni ’80 e ’90. Nella trap, invece, trovo quantomeno una novità musicale interessante. Insomma, è roba nuova.
Però la vera rivoluzione che mi fa molto piacere è quella discografica. Finalmente si è arrivati a un punto in cui un artista riesce a prodursi esattamente come vuole, senza interferenze. Senza che il discografico gli dica: “Questo pezzo lo togliamo, questa cosa non farla, indossa questa maglietta, lavati i capelli”. È dimostrato che un artista che scrive una canzone e la pubblica direttamente come vuole lui funziona più di uno che viene “imbalsamato”, messo dentro rigidi schemi. Questa è una lotta che ho sempre fatto ed è un elemento che mi accomuna tantissimo a questa nuova generazione. La parte musicale e soprattutto testuale molto meno, nonostante possiamo sembrare simili.

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