James Senese, lo scugnizzo di colore made in Napoli, festeggia 50 anni di carriera

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James Senese

James Senese festeggia i suoi primi 50 anni di carriera con un doppio cd live celebrativo, Aspettanno ‘o tiempo (uscito il 25 maggio), accompagnato da un tour con i Napoli Centrale, dimensione artistica che identifica meglio il musicista, con cui ha rivoluzionato la scena musicale partenopea degli ultimi decenni.

Senese ha conservato lo stesso spirito da scugnizzo “made in Napoli” degli esordi, tracciando un vissuto fatto di musica e sassofono, e finendo per confinare ai margini l’insana dose di pregiudizio data dal colore della pelle, diventando uno tra i più grandi musicisti italiani degli ultimi 50 anni.

INTERVISTA

Cosa ha significato per lei, ragazzo di colore del napoletano, avvicinarsi alla musica?

“La musica ha salvato una parte della mia vita, mi ha fatto vedere l’universo differentemente da quello che vediamo tutti. È stata la salvezza, la vera svolta della mia vita”.

“I song nato cca’ e cca’ voglio resta’, chi se ne fotte ‘e ll’America” – canta. Napoli è centrale nella sua vita e carriera.

“Io sono nato a Napoli, sono napoletano, e questo lo devo affermare ancora, perché essendo figlio di americano non tutti credono sia di Napoli. Questo succede anche nella mia città e in provincia. Per questo dedico a loro la mia  “vittoria” più grande nel dire: io sono il più napoletano dei napoletani”

Ci racconta gli esordi con i Napoli Centrale?

“È stata la mia fortuna, essendo figlio di americano con madre napoletana, era nel mio DNA costruire una dimensione che appartenesse a due culture molto precise, quello che è l’America e quello che è Napoli”

Una strada non solo innovativa ma anche coraggiosa.

“Ed è tuttora coraggiosa perché tuttora oggi siamo estremi, siamo molto “avanti”. C’è voluto sì molto coraggio ma anche molta passione nel cercare sempre qualcosa di nuovo”.

O Sangue, il suo precedente lavoro, due anni fa ha vinto la Targa Tenco.

“Per fortuna hanno riconosciuto che facevamo qualcosa di importante. Facciamo poesia anche noi: il nostro è un linguaggio universale, del popolo”.

Nel corso degli anni non ha mai tradito la sua idea di “fare musica”. Questo quanto le è costato?

“Ho fatto meno business, meno soldi, ma questa è la mia caratteristica, di non accettare compromessi. Suonare in un contesto in cui non sarei “me stesso” sarebbe la morte. Preferisco avere meno soldi conservando la libertà. Non è stato facile”.

Il suo nuovo lavoro contiene anche Chi te ne ‘o mare, citazione a Pino Daniele, che possiamo dire ha scoperto lei. Come vi siete conosciuti?

“Mi ha chiamato lui, mi voleva conoscere. C’è stato da subito un impatto molto forte, così è entrato, restando per due anni, nei Napoli Centrale. E anche dopo, non ci siamo più lasciati”.

È stato il suo primo Maestro.

“Avendo dieci anni più di lui ho cercato di insegnargli quello che non sapeva, anche nella vita. Pino era come un fratello per me. E lui ha sempre riconosciuto che ero come un “padrino”.

Sono passati più di tre mesi dall’omaggio a Pino Daniele al San Paolo, “Pino è“. Lei era presente, e se posso dirlo, era anche una delle poche presenze che avesse un senso su quel palco.

“Meno male, meno male signorì”.

Subito dopo il concerto ha detto: “Napoli la può cantare solo un napoletano”.

“In quel contesto mi sono trovato male, come credo anche Pino “da quell’altra parte”, perché è stata un’assurdità suonare i successi di Pino con un altro linguaggio”.

Oggi la formazione dei Napoli Centrale è cambiata rispetto agli esordi.

“È cambiata per un ricambio naturale, ma essendo io, il compositore e artefice dei Napoli Centrale sempre presente, ne conserva intatta la sua anima”.

Il tour che accompagna il nuovo progetto tocca tutta Italia: sente una partecipazione diversa del pubblico tra sud e nord?

“Al nord, e anche oltre i confini italici, hanno sempre capito molto prima le nostre dimensioni, al contrario del sud, che ci mette più tempo a capire la nostra anima. Il nord in generale è più aperto”.

Dopo il tour ha già altri progetti?

“I progetti sono sempre gli stessi: fare dischi, cercare di comunicare, arrivare dove gli altri non vogliono farti arrivare. Noi non ci fermiamo mai”.

Si ricorda il primo concerto che ha fatto?

“Sì a Napoli, sotto la Galleria (Umberto I). Il primo concerto in cui, dopo aver suonato per due ore in napoletano, sento i napoletani chiedere “ma vuoi cantarci un brano napoletano”? Non avevano capito niente del nostro “fare musica”.

Cosa consiglierebbe a chi spera di fare il musicista nella vita?

“Non è facile, una volta c’era il “desiderio” di scoprire, oggi invece esiste il “tutto e subito”, e questo non ti fa più vedere chi sei. Noi ancora oggi studiamo 24 ore su 24. I ragazzi non vivono più con questo “sacrificio”. Ci saranno sicuramente tanti che sperano di fare i musicisti: io sono sempre alla ricerca di giovani e nuovi talenti”.

Questa è bella notizia. Grazie per il suo tempo Maestro.

Grazie a lei signorì.

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