Pablo Picasso, con qualunque mezzo si esprima, propone momenti coordinati da una regia sempre diversa: a ogni pagina il suo periodare e la sintassi mutano di forma e di grammatica. Per questo il malagueño è il più “scomodo” dei maestri del 900, quello attorno cui è più difficile ricucire un filo d’Arianna da seguire per leggere la profondità di un’anima inafferrabile. E per questo è il più celebrato e discusso, il più sconcertante e imprevedibile, il più sfaccettato e insieme il più inconfondibile.
Per questo resta, con Jean-Michel Basquiat – di cui quest’anno ricorre un dimenticato trentennale dalla morte -, l’artista del XX secolo più apprezzato dai collezionisti: la sua ultima opera battuta da Sotheby’s a Londra, La donna con il berretto rosso e il vestito a quadri del 1937, ha spuntato lo scorso febbraio quasi 60 milioni di euro.

Il bacio, 1969

In mezzo a tutto il suo peregrinare artistico, una bella mostra, intitolata Picasso. Metamorfosi e aperta al Palazzo Reale di Milano fino al prossimo 17 febbraio, tenta di trovare un minimissimo comun denominatore: il rapporto multiforme e fecondo che il genio spagnolo sviluppò con il mito classico greco-romano. Come afferma la studiosa Émilie Bouvard: “Picasso non abbandonò mai la tradizione perché in essa cercava l’atipicità: ne aveva bisogno”.
Attivato da adolescente dietro la spinta del padre, esperto ellenista, questo interscambio – che si combina nel tempo con mille altri, provenienti dalla storia dell’arte così come dalla quotidianità – lo accompagnerà per tutta la carriera con “i meccanismi di una singolare alchimia”, che lo fecero sedere faccia a faccia con l’antichità per un’indagine dialettica, che divenne per lui spinta verso la costruzione di un universo unico, dove la libertà è sovrana indiscussa.

Portafiori a forma di uccello, 1950-1951

Come diceva “l’arte non è l’applicazione di un canone di bellezza, ma ciò che l’istinto e il cervello elaborano dietro ogni canone”. Così le reinvenzioni di Picasso. Metamorfosi vanno dall’erotismo esacerbato dei vari Bacio al confronto speciale che ebbe con la collezione greco-latina del Louvre, che visitò regolarmente, dai nudi che seguirono la svolta epocale delle Demoiselles d’Avignon ai disegni dedicati alle Metamorfosi di Ovidio e ai miti che narrano, fino all’incredibile Civetta in terracotta. Tutte poste di fronte a una serie di quelli che sono stati i modelli del maestro: un bellissimo Satiro danzante del Louvre, vasi, brocche zoomorfe e statuette longilinee, il Dioscuro di Napoli, gli ex-voto iberici della sua collezione privata.
Da segnalare il magnifico catalogo edito da Skira, prima di chiudere con le parole illuminanti di Alberto Moravia: “Picasso riesce a coprire con il suo genio manieristico e proteiforme tutto il secolo che passerà alla storia come il secolo della morte dell’arte in presa diretta sulla realtà. Dell’arte composta di ritmi, di rapporti, di iterazioni, di strutture, di armonie, di corrispondenze e di contrappunti. Dell’arte rifatta sull’arte.”

Donne alla fonte, 1921
Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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