Voglio la musica di Garcia

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Le persone vanno veloci. Camminano in fretta senza guardarsi in faccia e, perennemente, con vistose cuffie sulle orecchie, si iniettano nel cervello una rumorosa ed inutile colonna sonora, mentre gli occhi seguono freneticamente una realtà artificiale che le tiene lontane dal contagio culturale, dalla sensibilità, dalla fragilità.

Io cammino lento. Riesco ad evitare coloro che sbadatamente mi stanno venendo addosso. Alcuni li colpisco con le spalle, forse volutamente, per risvegliarli. Alzano la testa per un attimo e mi odiano. Poi ricadono con lo sguardo sul loro piccolo schermo. Il loro passo, di sera, è più veloce. Devono raggiungere il fast food; anche cibarsi dev’essere veloce. Non c’è tempo. Non c’è tempo?

Io cammino lento anche quando torno a casa. Mentre cammino penso, costruisco storie che hanno il volto delle persone che incrocio, che osservo, che accompagno per la frazione di un secondo che diventa un’intera vita. Percorro sempre la stessa strada e la musica che sento è quella dei clacson nervosi delle auto, dello sferragliare dei tram. Lo schermo sono le finestre dei grattacieli. Ti rimandano bizzarri giochi di luce, dopo aver catturato per tutta la giornata i raggi del sole ed i magici riflessi del tramonto. Tutto per me diventa ritmo.

Io cammino lento, osservo ed ascolto. Quel suono non poteva sfuggirmi. Mi trovavo all’altezza del boschetto che incornicia le acque di uno stagno. Nessuno sceglieva quella scorciatoia per risparmiare tempo. Un viottolo di pietre non allineate era scomodo da attraversare e, di sera, piuttosto buio tra quell’insieme di rami ed alberi dalla cima altissima. Il suono certamente proveniva da lì e così decido di inoltrarmi tra la fitta vegetazione.

E’ incredibile: a pochi metri dal caos cittadino dell’ora di punta, qui ti sembra di essere in una foresta remota. Qualche gatto mi gira tra le gambe ad annusarmi per poi scortarmi su un tappeto di  foglie. Il suono diventa più chiaro, lo sento… è vicino. La visuale dello stagno è difesa da un canneto che nasce spontaneo ed infestante vicino all’acqua. Superati quei sottilissimi rami,  in acqua rischi di entrarci direttamente da quanto è mascherata da ninfee, grandi e fiorite. Su tutto lo stagno galleggia una nebbia magica, sognante ed anche un po’ inquietante. Ed è tra quella nebbia, dall’altra parte di quel piccolo lago fatato, che lo sento… lo vedo.

La musica è leggera, avvolgente, raffinata ed in breve mi rasserena a tal punto da dimenticare che stavo camminando verso casa. Mi siedo ed ascolto estasiato le note che mi arrivano da pochi metri di distanza. E’ ipnotica. Seppur distante, vedo le sue dita correre lentamente sulle corde della chitarra. Il suono è lento e rilassato. Mi sdraio nel canneto. Serenità. Osservo le cime degli alberi sovrastate dalle punte dei grattacieli. La città è lì fuori, distante. Mi addormento e, quando mi risveglio, la musica non c’è più. Riprendo la mia strada. Sono passati pochi minuti da quando mi sono inoltrato nella piccola foresta urbana.

La sera seguente sono nuovamente lì, in quell’oasi incantata. Sono entrato nel bosco senza farmi notare dagli esseri viventi. Sono geloso di quel luogo, sono geloso di quel suono. La musica che mi arriva è diversa ma sempre uguale il suo effetto. Cerco di vedere meglio tra lo strato di nebbia. L’uomo con la chitarra ha una criniera di capelli che fa tutt’uno con la folta barba. Il volto è rotondo come le lenti degli occhiali. L’uomo con la chitarra è seduto sorridente con le gambe incrociate. Note sognanti giungono alle mie orecchie. Sono note appassionate, calde. Mi sdraio tra le foglie e lascio andare la mia mente. Mi sento rotolare sulla sabbia pietrificata di dune roventi. La musica mi insegue e mi spinge con determinata delicatezza. Mi risveglio nel totale silenzio. Molto distante sento qualche clacson lamentarsi. Anche la nebbia se ne è andata. Anche questa volta, quando ritorno sulla strada, mi accorgo che sono trascorsi solo pochi minuti da quando l’ho lasciata per inoltrarmi nel boschetto.

Mi sorprendo, la mattina successiva, a deviare nel bosco mentre sto andando verso il centro. Attraverso il canneto senza sentire alcuna nota. Arrivo ai margini dello stagno. Non c’è la nebbiolina a rendere incantata la visione di quel luogo. Non c’è l’uomo con la chitarra. C’è solo lo stagno silenzioso con le sue ninfee galleggianti e, in fondo, vedo la piccola casa, buia, con alcuni vetri rotti. Quella stessa casetta che la sera appare illuminata a festa e le cui luci illuminano la musica e tutto il resto. Non ci sono neppure i gatti a farti strada. Giro un po’ intorno. Il tempo passa e devo andare in fretta.

Trascorro alcuni giorni senza riuscire, la sera, a passare da quel luogo. Ci vado con la testa ma non è sufficiente. La gente mi parla, sono assente, penso che vorrei essere lì ad ascoltare quella musica meravigliosa, in quel contesto magico, unico. Sono depresso. Finalmente torna l’occasione. Arrivo al boschetto in perfetto orario, quando le luci sono appena scese e le ombre degli alberi nascondono il percorso verso lo stagno. I gatti mi vengono incontro strofinandosi sulle gambe. Guadagno il mio passaggio tra il canneto. Sento già le note lente rincorrersi e giocare nell’aria. L’uomo è seduto abbracciato alla sua chitarra dall’altra parte dello stagno. Le luci della casetta brillano illuminando l’acqua il cui movimento le rende come fiammelle indecise dal vento. La nebbiolina è ovatta sospesa tra le ninfee e le stelle. La chitarra emette note sublimi lanciate da una reale passione. E’ amore, un atto d’amore. Profondo e sudato come l’amore nelle notti d’estate. Lento e delicato come dev’essere l’amore quando è amato. Sono felice, vorrei non finisse mai. Cullato da quelle note, quella notte mi sono addormentato.

-“Ciao, sono Jerome anche se i miei genitori mi hanno sempre chiamato Jerry. Tu se preferisci puoi chiamarmi Garcia, come fanno tutti i miei amici, Garcia, semplicemente Garcia, il mio cognome.”

L’uomo, anzi Garcia, tende la mano destra  verso di me e mi accorgo che ha solo quattro dita . Gliela stringo raddrizzandomi goffamente. Mi sono svegliato in questo istante. Ha notato la mia espressione imbarazzata.

-“Il dito che mi manca se lo è preso mio fratello. E’ stato un incidente, ma non mi ha impedito di suonare la chitarra”

Ha un aspetto buffo. Garcia non è particolarmente alto. Il viso appare rotondo circondato com’è da capelli e barba. Le lenti rosa e circolari dei suoi occhiali non impediscono di vedere occhi sorridenti, simpatici e svegli. Dirigo lo sguardo verso la casa. Lui lo coglie.

-“Non abito da nessuna parte. Però in una casa come quella abbiamo costruito tanta musica e tante amicizie. Vivevamo tutti insieme. Dividevamo ogni cosa: note, cibo, amore e vino: la meravigliosa sensazione di costruire per noi un mondo migliore. Il nostro gruppo aveva un nome buffo: Grateful Dead (defunti riconoscenti). Oggi, all’interno di quella casa, facciamo qualche session musicale durante il giorno o durante le serate piovose. Per essere dei “defunti” ci divertiamo, purtroppo nessuno ci può sentire. E’ capitato a te, questo succede quando si forma la magia su questo stagno. Ne sono felice, sento la necessità del pubblico e tu sei il mio pubblico”

Mentre parla, pizzica con eleganza le corde della chitarra. Costruisce musica incantevole. Lo starei ad ascoltare per ore, ma devo muovermi, lentamente devo comunque tornare a casa. Guardo l’orologio. Se ne accorge anche Garcia.

-“La musica non ti fa perdere tempo. Non è passato un minuto da quando sei arrivato qui. E’ per questo che, parlando, continuo a suonare. Tu puoi anche non parlare. Mi rendo conto che è difficile esprimersi ad alta voce mentre si ha l’impressione di sognare. Ci si sente goffi. Ma io ci sono, sono qui.”

Inghiotto un po’ di saliva. Mi schiarisco la gola e provo a dire le mie prime parole.

-“La tua musica mi fa sognare. Vorrei venire qui ad ascoltarti tutte le sere. Anzi, non me ne vorrei  andare.”

Ti senti sciocco a parlare nei sogni, spesso accade che ti svegli di soprassalto chiedendoti se qualcuno se ne è accorto. Garcia, nel frattempo, suona lentamente note lunghissime che accarezzano l’udito morbidamente, gentilmente, quasi per non volerti svegliare. Quelle note sono un lamento senza tristezza. Si elevano come fa il sole all’alba mentre combatte le ombre della notte per prendere il suo spazio. Quindi si allarga e piano piano illumina ogni cosa. Te ne accorgi che è già alto e presto farà caldo.

Ovviamente Garcia se ne è andato. Lo rivedrò ogni sera. Tornerò ogni sera. Voglio la musica di Garcia. Non posso più farne a meno. Torno sulla strada lasciandomi alle spalle il bosco fatato. I clacson urlano nervosi. La gente cammina di fretta senza guardare. Senza ascoltare. Io mi metto ad urlare:

-“Voglio la musica di Garcia”

Alcuni uccelli si mettono spaventati a volare e solo pochi passanti sollevano il viso ad osservare un matto che urla. Camminano in fretta ed i loro corpi sono impegnato ad  evitare. Io cammino lento.

 

 

Ex Direttore Generale della Sony Music, ha trascorso 35 anni nel mondo del marketing e della promozione discografica, sempre accompagnato da una grande passione per la musica. Lavorava alla EMI quando, in un periodo di grande creatività musicale, John Lennon, Paul McCartney e George Harrison hanno iniziato produzioni proprie di alto livello e i Pink Floyd hanno fatto i loro album più importanti. Sino a quando, con i Duran Duran da una parte ed il punk dall’altra, è arrivato il decennio più controverso della musica.In CBS (più tardi Sony), ha contribuito alla ricerca e al lancio di un numero considerevole di artisti, alcuni “mordi e fuggi” come Spandau Ballet o Europe, altri storici come Bob Dylan, Bruce Springsteen, Cindy Lauper, Franco Battiato, George Michael, Claudio Baglioni, Jovanotti, Pearl Jam, Francesco De Gregori, Fiorella Mannoia e tanti altri…Si fatica davvero a individuare un artista con il quale non abbia mai lavorato, nel corso della sua lunga vita tra pop e rock.

2 COMMENTI

  1. Mi fa piacere che sempre più gente in Italia,apprezzi i Grateful Dead e la figura di jerry.Probabilmente per quello che hanno rappresentato a livello sociale e musicale il più grande gruppo mai esistito.Ancora oggi in America, il loro lascito sonoro,ed il loro lato spirituale,figlio dell esperienza con kesey e della stagione dell amore,tracciano una profonda impronta nelle menti delle nuove generazioni. Che dire (ci sarebbe molto)ma solo che “there is nothing like a Grateful Dead concert”

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