Magic in the Moonlight. Quel prestigiatore di Allen

Prestigiatore cacciatore di falsi spiritisti innamorasi di spiritista. Con spirito.

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L’ultimo Woody Allen è della serie “turismo sì, per vivere, ma nel tempo”. Mi spiego: molti dei recenti film di Allen sembrano commissionati a tavolino dagli enti turismo di alcuni paesi europei. I più biechi sono stati quelli italiani e spagnoli, i meno indecenti quelli inglesi e francesi. Anzi, Midnight in Paris,  in cui uno scrittore americano  andava indietro nel tempo a fare leggere il suo romanzo a Hemingway nella Parigi della Generazione Perduta, era stato il più gradevole, anche perché legato al filone letterario ironico snob e lievemente fantastico di Allen. Questo Magic in the Moonlight tratta col consueto garbo la storia un prestigiatore professionista (pallino di Allen) che sul palco fa il mago cinese Wei Ling Soo e nella vita extraprofessionale è Stanley Crawford, cacciatore di finti medium e truffatori del paranormale. Stavolta però incappa in una veggente bella giovane e carina che non sbaglia un colpo e in apparenza si converte allo spiritismo fino a rischiare la reputazione. Non vi togliamo nulla (il film è fuori da molto) se vi diciamo che la ragazza è lo strumento di un altro illusionista, amico di Crawford, che vuole beffarlo. A parte il riferimento a Houdini che passava il suo tempo a smascherare cialtroni perché in realtà desiderava ardentemente parlare a sua madre nell’aldilà, il resto è un gioco lieve che ricorda un telefilm alla maniera di Agatha Christie senza delitto e senza colpevoli, quel genere di operazione che nello spettatore e nel lettore contemporaneo lascia solo il desiderio di capire come si poteva vivere perennemente in Riviera solo di inviti da ricchi fatui. Il resto è qualcosa di già visto che funziona per rinvii progressivi al passato di Allen. E un po’ dispiace. Ma è il tempo che passa probabilmente…

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