Big Eyes. Burton sgrana gli occhi

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il film di Tim Burton è venuto come il suo argomento: infelice e strano, come uno di quei quadri con i grandi occhi. La storia è che negli anni Cinquanta  una lei americana che fa questi brutti quadri incontra un lui che non sa dipingere ma è bravissimo a convincere la gente: è un falso pittore di scorci parigini (mai stato a Parigi) e da quel momento in poi firma i quadri con i grandi occhi e divora la la vita, la fama e i soldi di lei che resta nell’ombra mentre lui diventa famosissimo e vendutissimo.  Si ride? No. Ci si dispera per lei? No. Si legge in filigrana la psicopatia? Non più di quella che emerge da un normale commento su internet scritto da qualcuno sotto falso nome. È una critica all’arte contemporanea? Ma neanche. Le allusioni  a Warhol e alla replicabilità sono vaghe (e poi Warhol replicava cose belle) e quanto al quarto d’ora di popolarità, ora abbiamo superato i limiti. Il fatto che una cosa piaccia tanto a tutti  la giustifica? Ma no. Governi orribili sono durati vent’anni e in tv il brutto impera, ma non c’è giustificazione. Ci turba il fatto che sia una storia vera? No. Ogni tg a qualsiasi ora ne ha di peggiori e più kitsch. Il fatto che la storia sia veramente accaduta ci passa accanto di striscio: ci fu un processo, farsesco si direbbe, e i quadri erano così brutti e famosi che Woody Allen ne Il dormiglione li mise nel futuro come simbolo della vittoria del cattivo gusto. Resta un’imbarazzante sensazione: che l’attore Christoph Waltz che ha preso due Oscar per i suoi vezzi di recitazione, sia come un effetto speciale: se non può esagerare non piace più… Quanto al fatto che Burton abbia una collezione di opere della Keane e ne sia stato influenzato nelle opere precedenti speriamo sia solo un’invenzione del marketing. Amy Adams comunque ha appena vinto il Golden Globe…

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