Pura. Prima della rivoluzione

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Pura di Andrew Miller. Bompiani

Quattro anni prima della rivoluzione, nel centro di Parigi, il cimitero di Les Innocents esonda cadaveri. Non è un horror. Era detto Il mangiacarne. Ne parla anche lo storico della morte Philippe Ariés. PuraDi lì è venuta l’ispirazione a Miller per la sua fantasia: a causa delle epidemie Les Innocents è stato riempito di corpi al punto che la terra non riesce più a fare il suo lavoro, e il problema è diventato di salute pubblica. Un ministro del re incarica il giovane ingegnere col culto della ragione Jean Baptiste Baratte di vuotare il cimitero, portare altrove il triste carico e bonificare il centro città dove cibi, abiti, cose e persone (vive) sanno di putrefazione. È un romanzo simbolico: un uomo con il nome di Giovanni il Battista (colui che apre la strada a Cristo) sta per avviare una trasformazione del mondo, riesumare il passato e gettarlo per creare il regno dei lumi. Non è facile. Il primo segno gli appare a Versailles, dove vede -enorme e fuori posto- un elefante. Le fasi dello scavo sono un po’ come quelle della dialettica dell’Illuminismo: si parte con l’idea di cambiare il mondo, ci si scontra con le abitudini, il passato, le superstizioni, le convenienze, le convenzioni, si rischiano risultati irrazionali. E poi un lavoro così sconvolge commercio, corporazioni, bigotti e pazzi, ma fa anche conoscere organisti libertini, preti invasati, fanciulle folli che tentano di ucciderti con un regolo calcolatore (ah, che morte da ingegnere!), splendide prostitute /controfigure di Maria Antonietta e ti fa vivere sulla linea di confine tra il fetore che evapora e il nuovo che avanza, sotto forma di sinistre scritte sui muri che promettono imminenti castighi al potere. Tenete presente che c’è anche un medico curioso e umanista che aiuta nell’impresa, e si chiama Guillotin (!), e che i silenziosi minatori dediti allo scavo sembrano uniti in una setta col culto della distruzione controllabile. Insomma la lama della ghigliottina è nell’aria -e nella storia- in forma di metafore con un andamento tra opera settecentesca e sogno. Il sonno della ragione? Attenti: la copertina di Royston Knype sembra il Goya di Il sonno della ragione genera mostri, ma in realtà i pipistrelli sono stati sostituiti da corvi e il dormiente indossa l’abito color pistacchio (nella versione italiana è più azzurro) che l’ingegnere porta all’inizio del romanzo, molto fru fru: alla fine ne indossa uno nero, tecnico e frugale. All’apice dell’ansia, in una notte di tregenda a cui si aggiunge una diarrea diabolica, il nostro ingegnere -che era partito innamorato della machine e sta per tornare all’homme- sull’orlo di una latrina-abisso si rende conto che  ha di che pulirsi solo con L’homme machine del filosofo La Mettrie. Morto, ricorda, per un’indigestione di fegato d’oca guasto. Indovinate che fine farà il triste elefante fuori posto di Versailles…

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