Live at the Orpheum
dei King Crimson
Forse un giorno la figura retorica della fenice sarà sostituita dalla creatura oramai 46enne di Robert Fripp e si dirà “Rinascere come i King Crimson”.
Non è questa la sede per citare le oramai innumerevoli incarnazioni dell’alter ego di Fripp, si sappia solo che anche questa, salute permettendo, non sarà l’ultima, tali son gli innumerevoli umori cangianti del leader.
Ora pare che alcuni maligni dicano che, in questo caso, il gruppo sia stato ricostituito per far cassa in quanto Fripp è in causa con le passate major per l’uso indiscriminato fatto, a livello di copyrights, della sua musica e quindi, nonostante avesse annunciato per tali motivi, l’abbandono della scena musicale, abbia nuovamente tirato fuori la vecchia sigla contando su uno zoccolo durissimo e non solo generazionale pronto a seguirne le avventure live ed acquistare nuove emissioni.

Le cose belle: è tornato il sax di Mel Collins e quindi si respira un sapore seventies oramai desueto, anche perché è sempre più raro l’utilizzo di detto strumento nel cosiddetto rock o prog, in qualsiasi modo lo si voglia definire, e questo fa pensare invece a quanto venisse in passato utilizzato con risultati stupefacenti.
Le cose meno belle: la voce di Jakko Jackszick non mi fa impazzire, forse perché abbastanza anonima e forse perché i paragoni con le versioni originali son di rigore quando si celebra il passato, come in questo specifico caso.
Le conferme: la formazione è abbastanza folle, tre batteristi, due chitarre sax e basso, poi leggi che i batteristi sono Pat Mastellotto, Bill Rieflin e Gavin Harrison, ovvero tre generazioni percussive tra le più raffinate e potenti sulla scena, che al basso c’è Tony Levin e, come si diceva, al sax Mel Collins, insomma una macchina del tempo sonora senza nessun limite.
Adesso si aspetta che esca davvero il nuovo disco del Re Cremisi, poi ci si rivede tra vent’anni.