Turner di Mike Leigh
con Timothy Spall, Dorothy Atkinson, Marion Bailey, Paul Jesson.
Voto 9
Un uomo corpulento che alterna grugniti o silenzi a frasi in un inglese alto e ricco di riferimenti mitologici, ogni tanto torna a casa da luoghi lontani: vive con una serva con cui ha rapporti sessuali furtivi e rapidi, con un padre-amico, dipinge. Il suo nome, Joseph Mallord William Turner, verrà pronunciato per intero una volta sola, da una vedova con cui vivrà in un paese di mare, per un bonario rimprovero. Il nome, ci dicono le enciclopedie, è quello del più grande paesaggista inglese, che operò a cavallo tra fine ‘700 e metà ‘800 e anticipò l’Impressionismo. In realtà, ci dice Mike Leigh, è così avanti che gli accademici e persino i regnanti, lo sentono già un astrattista. E lo respingono atterriti. Turner comunque ebbe successo in vita, ma non vide le sue opere riunite in un sol luogo come desiderava. Rifiutò persino offerte principesche perché i quadri non finissero in mano a privati. Mike Leigh, regista della linea realista con attenzione alle classi povere, ci dà un Turner che si muove nel mondo come in un quadro di Turner: avvolto, quasi sovrastato dagli elementi, ma affascinato dalla natura come dal progresso. In una scena il padre complice e amico si esibisce in una gag: scoprire nel famoso quadro Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, dove sia l’elefante: una figurina minima in un’immagine che fa pensare che il cielo si stia rovesciando sulla terra. Ecco il signor Turner di Mike Leigh (il titolo originale è più privato: Mr Turner), nel corpo grande (anche in bravura) di Timothy Spall (premio a Cannes per la miglior interpretazione maschile), è quell’elefante nell’apocalisse, che sia Londra, la natura, il mare in tempesta o il tormento dei sentimenti, che Turner non esprime mai, se non in grugniti, amori rapinosi, sghignazzate o occhiate furtive. Così Leigh, senza fanfara, spiega pure l’appartenenza di Turner al movimento romantico, e insieme ci dà con asciuttezza spiegazioni sulla sua doppia vita, le depressioni, la curiosità per la scienza (il vapore, le ferrovie, la fotografia) e l’ossessione per il sublime dinamico kantiano (la natura così distruttiva che affascina) al punto da farsi legare all’albero maestro di una nave in una tempesta di neve. Ma non glielo fa mai dire a voce. Questa parte la lascia a un giovane e petulante John Ruskin che fa morire dal ridere. E gliene siamo grati.
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