C’è una cosa che mi chiedo da tempo.
Un artista, un cantante, ha un pubblico che gli somiglia o no?
Se lo crea, il pubblico, con le sue canzoni e il modo di fare, o il pubblico lo segue come seguirebbe Tizio Caio o Sempronio?
È una domanda che mi solletica, perché le risposte a questa domanda tagliano, o taglierebbero, via di torno tanta e tanta letteratura.
Insomma, uno ha il pubblico che si merita, o ognuno si merita il pubblico che ha?
Nel senso: se Tizio canta e sbandiera il valore x, io mi aspetto che chi lo segua sia della stessa idea.
O no?
Pigliamoci Luciano.
Uno che della coerenza, sia pure attraverso i mutamenti della vita, ha fatto ragion d’essere.
Uno dei pochi sulla scena che pensa, dice quello che pensa, fa quello che dice.
Punto, e a capo. Semplice, chiaro.
Da lui so già farà quel che ha detto farà. E se non ha detto e fatto ancora è perché ci sta pensando, e deve ancora decidere. Ma che poi sarà in linea con quel che ha sempre detto, e fatto.
E il suo pubblico, quindi, la conosce, la pratica questa cosa chiamata coerenza?
La coerenza, dico, la coerenza: questa virtù così difficile da praticare perché non lascia scampo agli opportunismi e alle banderuole, almeno tra specchio e specchiato, tra maestro e discepoli, tra artista e seguaci, dico, ci sarà.
O no?
Sempre di lui, di Luciano, si sa, o si intuisce comunque, il pensiero.
Da quello che dice.
Da quello che fa, da come, lo fa.
Dalle battaglie che sostiene, dalla campagne che promuove.
Dai discorsi che tiene.
Da dove va , da dove non va.
Da cosa dice e da cosa non dice.
Luciano è rispettoso. Riservato. Fautore della libertà e della dignità personale di ognuno.
Attaccato ai suoi valori, alla sua terra. Ai suoi amici, alla sua famiglia.
Amante innamorato del suo paese.
E il suo pubblico?
Io mi aspetto che il suo pubblico lo segua. Che lo segua perché lo ama, lo approva.
Che se lo pigli così com’è, uomo-cantante-persona.
Che se lo pigli e se lo voglia tenere per come canta ciò che dice ciò che fa, e che proprio per questo lo ami, perché lo riconosce come simile, come suo modello.
Che lo segua perché ci si riconosce, il quel bel gilet lì sul palco.
Che abbia il suo stesso pensiero, il suo stesso sentire, nel cuore: perché sennò come ca…aaspita le canti, certe canzoni?
Come fai, ad emozionarti su certe note (e su Certe notti), se tu quelle cose lì le detesti, non le senti, non son tue?
Ecco, io me lo chiedo.
Me lo chiedo visto che scorrendo pagine qua e là, profili su e giù, scorgo e leggo tanto e di tutto e di più, rispetto a ciò che Luciano dice, canta, fa e sbandiera, di persona e di cantare.
Tra chi la tolleranza la prevede solo per certe “case”, tra chi l’amore lo concepisce libero sì, ma poi manderebbe al rogo mezzo capitale umano e via cantando, dei valori cantati da Luciano resta poca traccia nel quotidiano del fan.
Ma allora, questo fan qui, che animale è?
Uno che gli batte il cuore a comando?
Che urla sotto il palco e poi spente le luci si fa una doccia e veste panni completamente diversi, dentro e fuori?
Dove gli inizia e dove gli finisce, l’ammirazione, l’emulazione? Fino a quanto, e a cosa, arriva il suo rispetto e il suo riconoscersi in quello che Luciano rappresenta?
E se rivendica il diritto di essere se stesso, di pensarla diversamente, di alzare una barriera tra il pubblico e privato, tra lui e sé, allora, bene, perché, perché perde tempo e soldi per viaggiare su e giù per l’Italia dietro a uno che ha fatto della coerenza la sua dote più esemplare, il suo segno distintivo?
Quanto, del pubblico più bello del mondo è a sua immagine e somiglianza e quanto, invece, è a immagine e somiglianza di questi fan che sul palco ok, ci sta Luciano ma vabbène anche Uno nessuno e centomila?