Si libra nell’aria? Ha doti telecinetiche? Sposta gli oggetti col pensiero?

 Di sicuro Riggan Thomson, che un tempo fece al cinema il supereroe Birdman (e poi finì ricco, famoso, stronzo, dimenticato e povero), oggi che vuole mettere in scena a Broadway Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? di Raymond Carver  (per salvarsi l’anima davanti ai critici e ai colti) ha il dono di torturarsi: sente le voci come uno schizofrenico, riesce ad attirare in extremis un attore inaffidabile e

Birdman
di Alejandro González Iñárritu
con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan
Voto 8

istrione che potrebbe far esplodere la commedia, riesce a inanellare una serie di folli incidenti durante le anteprime, trova il tempo per star male, frequentare l’ex moglie, gestire l’amante, la figlia drogata, la prima attrice insicura, e anche di parlare in allucinazione continua con il suo alter ego pennuto in tutina. Il tutto con frenesia jazz scandita da una batteria (che potrebbe essere a Broadway, negli anfratti del teatro o nella sua testa) in quello che potrebbe sembrare (ma non è) un infinito piano sequenza barocco, pesante di dolore, tragedia e farsa senza soluzione di continuità in un affastellarsi di cose, parole, oggetti e trovate che rischia la bulimia creativa.

Parliamoci chiaro: Birdman suona come Batman

E Michael Keaton (che interpreta lo spennato Riggan) fu il primo Batman cinematografico di Tim Burton che dovette vincere le ritrosie dei fan del Batman tv. Un successo planetario e poi quello che succede spesso: il declino. In questo film Keaton recita il suo riscatto nel ruolo di un attore che recita in cerca di riscatto, ossessionato da quella vociona e dal quel costume che erano stati suoi ai tempi d’oro. Inarritu osa là dove sono caduti in molti: cinema sul cinema, teatro nel teatro, litigi attori-critici, giochi di specchi tra vita e palcoscenico, polemiche tra cinema-cinema e cinema-giocattolo (“la popolarità è la cugina puttana del prestigio”), scene in cui un corpo già provato si strappa pure la parrucca di scena. E poi gira sul palco la mitica arma che -scriveva Cechov- se c’è prima o poi deve sparare davvero… Birdman è un’opera totale claustrofobica che contiene cinema per almeno 5 film, e rischia a ogni momento di cadere sotto il suo peso. Eppure vola, come il povero Riggan, Birdman, Batman o Keaton che dir si voglia. Speriamo verso l’Oscar. Sarebbe il vero finale del film…

Quanto al biglietto che si vede appuntato sullo specchio da trucco di Riggan,  A thing is a thing Not what is said of that thing  (Una cosa è una cosa non quello che si dice di quella cosa) ed è firmato Susan Sontag , il critico del New York Times (quello vero, Manhola Dargis) sostiene che potrebbe essere parafrasato da Contro l’interpretazione, ma suona anche come “qualcosa di Gertrude Stein o di Kant tradotto male”

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