Gli ascensori psichedelici del tredicesimo piano

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C’era una volta, verrebbe da intitolare.

C’era una volta una band di Austin, Texas, considerata l’equivalente dei Pink Floyd ma yankee; si facevano chiamare The 13h Floor Elevators, gli ascensori del tredicesimo piano. Sballoni come la band albionica e anche oltre (era l’epoca in cui Timothy Leary andava diffondendo il principio attivo della segale cornuta, o dietilammide 25 dell’acido lisergico, o LSD, nella comunità hippie USA), avevano concepito una filosofia musicale basata guarda caso proprio sulla trascendenza supportata da sostanze psicotrope e conseguente musica, sia per sonorità che per quel che riguardava le liriche.
La loro musica era garage-rock acido che spesso sconfinava senza farsi troppi problemi nell’hard rock o nel blues più tetro (o voodoo blues) come nella psichedelia più radicale. Nei testi, sicuramente ispirati da qualche zolletta ben condita, si trattavano temi che andavano dagli zombi ai vampiri ai cani a due teste, magari con il supporto di un po’ di gorgheggi da scimmia o di citazioni dal biblico Libro dei proverbi. Normale, con un leader di nome Roky Erickson, noto consumatore a livello industriale di sostanze istupidenti al punto di rimanerne segnato di suo. E con lui, anche gli altri (Stacy Sutherland alla chitarra solista, Benny Thurman -sostituito da Ronnie Leatherman a sua volta sostituito da Danny Galindo- al basso, Danny Thomas -poi sostituito da John Ike Walton- alla batteria e Tommy Hall allo jug elettrico*), non erano da meno.
Comunque, vuoi per le consumazioni lisergiche, vuoi per le effettive capacità creative dei musicisti, la band produsse un album seminale di rock psichedelico: The psychedelic sounds of the 13th floor elevators, del 1966. R-3312780-1325280503.jpegQualcuno gridò al miracolo, altri fecero rilevare il notevole grado di sconvoltura contenuta nei solchi. Tutto faceva brodo anche cinquant’anni fa. Sull’onda del subitaneo successo, la band produsse nei tre anni successivi altrettanti album: Easter Everywhere (1967), un finto album live chiamato appunto Live (1968) e il conclusivo Bull of the Woods (1969). Ma, tra il live e l’album del 1969, Roky Erickson andò incontro a braccia spalancate al proprio, tragico destino.
Nel 1968, mentre si trovava alla fiera Hemis di San Antonio, cominciò a parlare in maniera sconnessa, gli fu diagnosticata la schizofrenia paranoide e fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Houston, dove subì i primi trattamenti di elettrochoc. Come se l’LSD già non fosse bastato. Ma evidentemente ancora no. Nel 1969, arrestato dalla polizia per possesso di marijuana, piuttosto che farsi qualche annetto in gattabuia, ebbe la bella idea di provare a farsi passare per malato di mente. “In realtà sono un marziano, possiedo questo corpo grazie ai miei poteri ma sono un marziano!”, sembra siano state le sue ultime parole coerenti. “Pronti”, rispose l’Autorità, e per Roky Erickson si spalancarono le porte della sua personale Area 51. Dapprima ricoverato all’ospedale di Austin, fece la furbata di fuggirne più volte finché non fu spedito al Rusk State Hospital for the Criminally Insane, dove restò ricoverato fino al 1972 tra numerosi trattamenti di elettrochoc e somministrazioni massicce di torazina. Quando ne uscì, Roky Erickson era a livello larvale, più che umano e, a causa di altre vicissitudini, gli ascensori del tredicesimo piano si erano schiantati al suolo subito dopo l’uscita di Bull of the Woods. Parte di loro riformò la società nel 1975, con il nome di Roky Erickson and His Aliens. Ma i loro neuroni non erano più gli stessi, ahiloro, e quelli precocemente cremati non sarebbero più tornati. Se non occasionalmente, ovvio.

*: lo jug elettrico è costituito da una brocca di vetro o ceramica, con un microfono all’imboccatura. Avvicinando le labbra a circa 2-3 centimetri dall’apertura e facendole vibrare, ed emettendo al contempo un tono musicale, Hall riusciva a produrre un suono estremamente particolare, un ibrido fra una fanfara, un minimoog e un tamburo cuica, utilizzato nella sezione ritmica bassa di molti brani del gruppo. Qualcuno diceva che il suono dipendesse di volta in volta dalla quantità di marijuana che Hall metteva in fondo a quello che di solito era il suo personalissimo bong. De gustibus, ladies and gentlemen. De gustibus.

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