Il cibo non era niente di speciale

Dalla A di aglio alla Z di zuppa di latte, un libro di citazioni colto e divertente sul cibo, le bevande, i ristoranti e gli alberghi.

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Il cibo non era niente di speciale di Laura Grandi/ Stefano Tettamanti
(Utet)


il ciboDalla A di aglio alla Z di zuppa di latte, un libro di citazioni colto e divertente sul cibo, le bevande, i ristoranti e gli alberghi. Lo hanno allestito Laura Grandi e Stefano Tettamanti, tra i nostri agenti letterari più reputati che hanno già all’attivo sette libri di cibo e letteratura. Qui sono di scena 239 scrittori, da Alcmane a Vazquez Montalban, a dare conto di predilezioni e idiosincrasie. Scrittori scrittori, scrittori viaggiatori, scrittori cuochi, scrittori gourmet.

I viaggiatori sono in genere i più schizzinosi: il nostro De Amicis era orripilato dalla cucina marocchina (secondo lui il couscous sapeva di pomata) e dalla turca, gradiva in compenso l’olandese. Schifiltosetto anche Montesquieu, senza raggiungere i vertici di Tobias Smollett e, ai giorni nostri, di Bill Bryson, reporter delizioso ma vero “pain in the ass” come commensale.
Le stroncature riescono tuttavia deliziose se a farle sono uomini e donne di spirito. Sentite per esempio come Katherine Mansfield, dopo avere demolito la Svizzera, liquida i suoi cibi: «E il cibo. È senza nervi. Capite? Pare sempre coricato e che vi aspetti: perfino le bistecche sono mansuete. Non c’è contatto fra voi e lui. Non vi sentite attratta. Non provate il desiderio di avvicinarvi a esso, conoscerlo, entrare in intimità maggiore. Gli asparagi sono sempre morti stecchiti. Quanto alla purée di patate, si è tentati di chiamarla “zia”».
Ancora più perfido Winston Churchill, che così si congeda da una serata sbagliata: «In effetti sarebbe stata una splendida cena, sarebbe bastato che il vino fosse freddo come la minestra, la carne al sangue come il servizio, il brandy invecchiato come il pesce e la cameriera disponibile come la duchessa».
Ci sono gli spreconi per paradosso.
Come Samuel Johnson: «Un cetriolo va affettato con cura, condito con pepe e aceto, e infine buttato via, come buono a niente».
O come l’inarrivabile Alexandre Dumas con il suo “arrosto all’Imperatrice”: «Snocciolate un’oliva e riempitela con un filetto di acciuga, imburratela e infilatela dentro un’allodola, la quale a sua volta verrà sistemata dentro una quaglia che entrerà dentro una pernice che dovrà essere nascosta dentro un fagiano. Il fagiano a sua volta sparirà dentro una grande oca che troverà rifugio dentro un maialino da latte. Si procederà infine ad arrostire il maialino. Il risultato sarà la quintessenza dell’arte culinaria, il capolavoro dell’arte gastronomica. Non crediate, tuttavia, che questa pietanza verrà consumata interamente: i buongustai mangiano solo l’oliva e il filetto d’acciuga, e questa oliva non costa meno di cinquecento franchi».
Il grande Dumas è, inoltre, un teorico della pasta al dente, cosa rara per un francese: «I maccheroni troppo cotti non valgono niente. Secondo un modo di dire napoletano, bisogna che crescano in corpo».
Ma nell’effervescente citazionario di Grandi e Tettamanti (chi me lo ha regalato, grazie di cuore, sapeva quanto io apprezzi questi repertori) non si trovano soltanto cibi comuni come olive e maccheroni. Sono di casa la fenice e, udite udite, gli angeli che «devono essere squisiti da mangiare. Immagino che la loro carne debba essere tenerissima, una via di mezzo tra il pollo e il pesce» (Peter Kubelka).
Senza dimenticare che «l’uomo è buono, ma l’agnello è meglio» (Bertolt Brecht).
Un libro delizioso. Da sgranocchiare, da piluccare. Se uno ha proprio fame, da divorare.

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