Klein Fontana
Milano Parigi 1957-1962
fino al 15 marzo
Museo del Novecento
Detto fuori dai denti, l’arte contemporanea (Dadaismo, Costruttivismo, Suprematismo, Spazialismo eccetera), non è sempre di facile comprensione. Tanto che, sia l’italo argentino Lucio Fontana, che il francese Yves Klein – e molti altri -, furono vittime di stroncature e distorsioni, anche se, voce fuori dal coro, Dino Buzzati comprese il valore di Klein già alla sua prima esposizione a Milano nel 1957, che ebbe tra i primi acquirenti proprio Lucio Fontana. Come affrontare allora la mostra Yves Klein Lucio Fontana – Milano Parigi 1957-1962, in corso fino al 15 marzo al Museo del Novecento di Milano?
Il mio primo metro di giudizio è basato sull’estetica. Non mi pongo il problema del significato più profondo di un’opera ma, più prosaicamente, mi domando: appaga il mio senso estetico? I buchi e i tagli sulle tele di Fontana, il modo in cui sono accostate, il colore, soddisfano i miei occhi e il mio spirito? Per esempio, il blu di Klein – che l’artista brevettò come “International Klein Blue” – dialoga meravigliosamente con il neon – anch’esso blu – di Lucio Fontana. Un blu che rimanda ai proverbiali cieli di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, o alla magica notte stellata di Van Gogh. Un colore spirituale, quasi extraterrestre che permane sulla nostra retina ben oltre il tempo dedicato alla visita.
La seconda domanda che mi pongo è: qual è il senso dei tagli, dei colpi di punteruolo e di scalpello sulle tele di Lucio Fontana? Si potrebbe partire dai titoli, ovvero Concetti spaziali. Quindi la ricerca di una terza dimensione oltre i limiti imposti dalla tela bidimensionale. Pensiamo quindi alle stelle, lo spazio, gli universi paralleli da raggiungere attraverso porte dimensionali.
Credo che tanto basti per comprendere, almeno in parte, il significato di queste opere.