Sangue e cenere
dei Gang
Voto:8
Non ingannino i quattordici anni che separano l’ultima edizione di brani inediti tra il precedente album dei fratelli Severini da Filottrano e questo. Il tempo è passato ma le cattive, sane abitudini di sempre ancora pervadono i simpatici fratellini marchigiani. Ma con “Sangue e cenere” è come ritrovare un vecchio amico e subito riattaccare a parlare come se vi foste lasciati la sera precedente e non vent’anni prima. E ascoltando quello che ti racconta, ti accorgi che è dannatamente maturato, che sa raccontare le stesse, vecchie cose dei bei tempi ma con parole diverse e rivestite d’una verve espressiva maggiore, con maniere magari più curate ma mai ipocrite e volte al guadagno dei consensi stile “like” di Facebook. E tu con lui. Entrambi imbelviti dentro peggio di quando vi eravate visti l’ultima volta ma cresciuti, più riflessivi e saggi.
Insomma, il combat rock delle origini discografiche è rimasto rock ma è fiorito ed evoluto. Più meditato ma non per questo meno spontaneo, complice una produzione rock al punto giusto (Jono Manson) e uno stuolo di musicisti con i controfiocchi (anche yankee, tra cui tale Garth Hudson ex “The Band” alla fisarmonica, ma leggere i credits è comunque entusiasmante), “Sangue e cenere” sciorina con notevole dimestichezza un campionario fatto di rock ruggenti, momenti combat-folk, ballate appassionate e scintillanti lampi di rhythm’n’blues e soul. Questo mantenendo sempre, per quanto riguarda i testi, l’usuale e mai doma vena politico-poetica militante che da sempre procura ai Gang tanti guai fin dai tempi di “Duecento giorni a Palermo” e del concerto del Primo Maggio 1991. Nulla di male, considerata la facilità odierna nel professarsi super partes a seconda dell’opportunità e delle convenienze; ed è un difetto, questo, che i Gang non hanno mai avuto.
Sono schierati da sempre e mai ne hanno fatto mistero; ma lo sono da un punto di vista eretico e dissonante, mai allineato, spesso controverso e molte volte, anche per molti che dovrebbero pensarla come loro (almeno a parole…), disturbante. E parlare oggi (con una vera e propria poesia in musica) dei bombardamenti ONU sui civili di Novi Sadr durante la guerra del Kosovo, ricordare ancora l’oscura vicenda milanese di Fausto e Iaio, celebrare con canzoni orgogliose la Resistenza (e la memoria storica a essa collegata) che molti vorrebbero vedere scomparire persino dalla Costituzione, commemorare un volontario italiano ucciso da un cecchino durante la guerra serbo-bosniaca nel 1993, argomentare dell’esistenza delle fabbriche dei veleni da ben prima che qualcuno si accorgesse di certi impianti appestanti e vetusti e degli altri temi contenuti nelle undici canzoni che compongono l’album, non solo è (meravigliosamente) disturbante, ma potrei scommetterci che prima o poi verrà considerato pure demodé, velleitario e donchisciottesco, soprattutto con i tempi che corrono. Tutti ottimi motivi, quindi, per avere quest’album; appetibile anche per chi non ha la mamma che canta con Otis Redding o ne vorrebbe una uguale e finanziato tramite la pratica tutta internettiana del “Crowdfunding” rivolta ai fan. “Come preventivo per l’album abbiamo buttato giù la cifra X”, hanno scritto i Gang ai loro fan, “e per essere del tutto tranquilli di starci dentro dobbiamo almeno tirare su il doppio: ci aiutate?” Morale della favola: i Gang hanno avuto il 710% in più del necessario. La risposta dei fan? “Alle barricate! Alle barricate!” Yeah, yeah, yeah!
Un sincero grazie a Marino Severini, senza la cui totale disponibilità questa recensione non avrebbe potuto essere scritta.
L’album esce il 24 febbraio.
complimenti…ottima recensione….per chi come me non conoscono i Gang, un ottimo spunto per farlo!