Diana Krall e i gioielli soft-rock anni 70

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“Wallflower”
di Diana Krall
Voto: 9

Si chiama easy listening, “facile ascolto”. È il genere più ampio del panorama sonoro mondiale, passa dalle canzonette meno ascoltabili amore-cuore-dolore ad autentici gioielli che rimangono nella memoria collettiva. Ma per raggiungere il vertice alto della forbice non c’è nulla di facile, serve professionalità, intensità, istinto, magari (purtroppo non indispensabile) un pizzico di novità.

Quello che già si candida come il più bell’album di easy listening dell’anno è uscito da pochi giorni ed è planato ai vertici delle classifiche di tutto il mondo. Italia compresa: nono posto assoluto alla prima settimana di uscita. S’intitola Wallflower ed è firmato dalla canadese Diana Krall, la jazzista che ha venduto più dischi tra il 1990 e il 2010: oltre 15 milioni in tutto il mondo.

Il dodicesimo lavoro di studio della pianista e cantante sposata con il geniale Elvis Costello, uno dei maggiori talenti usciti dalla quiete apparente dopo la tempesta punk di fine Settanta, e mamma di due gemelli di otto anni, ripropone una serie di brani che hanno fatto la storia della musica soft-rock di fine secolo.

“È stata una piacevole novità trovarmi in sala di registrazione con la sola compagnia del magnifico accompagnamento al pianoforte di David Foster e dei suoi arrangiamenti per orchestra”, ha dichiarato Diana. E il produttore di millanta successi, premiato con 16 Grammy, quasi un record, di rimando: “Le canzoni che interpreta nel disco sono quelle con cui è cresciuta, ascoltandole alla radio o sui dischi in vinile. Ciò che rende quest’album tanto speciale è il modo in cui lei le reinventa, mettendo corpo e e anima in ogni singola sillaba.”

Krall, sempre bellissima sulla soglia delle 50 primavere, con il suo appeal emozionale e intenso, rilegge pezzi come “Desperado” e “I Can’t Tell You Why” degli Eagles, “California Dreaming” dei Mamas & Papas,  “Sorry Seems To Be The Hardest Word” di Elton John, “I’m Not In Love” dei 10cc, la stessa title-track di Bob Dylan, tutti trattati come i gioielli luminosi che sono. Lucidate, maneggiate con attenzione, curate, accarezzate quasi con devozione dall’orchestra e dalle ponderate elettroniche, sono ballad senza tempo, che la vocalità appena roca di Diana – affiancata da Michael Bublé in “Alone Again” di Gilbert O’Sullivan e Bryan Adams in “Feels Like Home” di Randy Newman – e gli arrangiamenti eleganti, malinconici, sinuosi, ricreano con un’amorevole riflessione e lo sguardo adulto di chi è consapevole di confrontarsi con dei capolavori. E non vuole affatto modificarli per appropriarsene, dato che già appartengono alle sue radici, ma solo rimanere al centro del suggestivo scorrere di parole e musica.

Quasi tutte canzoni dell’epoca post-68, parlano con profondità di come affrontare le macerie lasciate dal periodo dell’amore libero, di fine della seduzione, deriva dei rapporti aperti, gelosia, solitudine dei “single per scelta”, famiglia e i suoi ruoli. Ciliegina speciale il brano inedito “If I Take You Home Tonight”, a firma Paul McCartney. L’ex-Beatle ricambia la partecipazione di Krall al suo disco di cover analogo a questo, Kisses On The Bottom di tre anni fa, in cui lei aveva suonato il piano e collaborato alla scelta dei brani. Romantico e soft-rock, non sfigura in mezzo a canzoni che Diana considera “come la luce del mattino dopo l’all-night party del pop”.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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