Medardo Rosso
La luce e la materia
fino al 31 maggio
GAM Milano
Medardo Rosso è uno di quegli artisti che non si è mai sicuri di comprendere veramente a fondo.
C’è un Medardo Rosso scultore di busti da esporre sulle tombe del Cimitero Monumentale di Milano, come ad esempio quella di Filippo Filippi, di Elisa Rognoni o Vincenzo Brusco Onnis. Opere che stenteremmo a riconoscere come sue.
C’è poi il Medardo Rosso che preferisco: quello ribelle, espulso dall’Accademia di Brera, quello che che aderì alla scapigliatura milanese, che visse la stagione dell’impressionismo a Parigi e che chiamò il proprio figlio Francesco Evviva Ribelle.
E sono proprio le opere con i bambini le più misteriose e in un certo senso perturbanti.
Non riesco a distogliere lo sguardo dal piccolo Bambino malato (1895) nella versione in bronzo e, ancor più, in quella in gesso e cera. Si sa che nacque a seguito della degenza di Rosso in un ospedale parigino. Ma la domanda che continua a ronzarmi nella testa è: “Che fine avrà fatto il bambino? Quella sofferenza che mi assale attraverso i lineamenti appena accennati, quasi trasparissero da una placenta che ancora lo ricopre, avrà avuto termine con la morte, oppure con la guarigione?”
Sono sculture che inducono a esercizi d’immaginazione, di empatia. Inviti a completare ciò che è appena accennato dalla materia che – parole di Rosso – “…deve essere dimenticata”.
Così la fantasia galoppa e, nella scultura della Bimba che ride (1890), vedo le teste dei satiri romani del I e II secolo d.C; in Madame X (1913), dai lineamenti completamente inesistenti, le forme delle sculture di Modigliani o della testa della Signora di Brassempouy (Landes, Francia), di epoca paleolitica.
Una carne viva, in continua trasformazione. Un passato ancestrale – quasi come nel film Stati di allucinazione di Ken Russell (1980) – che ritorna presente attraverso la nostra immaginazione e i nostri sentimenti, mediata attraverso il talento di una rockstar della scultura ante litteram.
(L’immagine della “Testa di satiro” compare per gentile concessione della Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli)