Cenerentola
di Kenneth Branagh
con Lily James, Richard Madden, Cate Blanchett
Voto
“Mi sento Cenerentola”. “Trattata come una Cenerentola”. Il complesso di Cenerentola (compulsatissimo saggio sul femminile di Colette Dowling del 1996). “Quella culona di Cenerentola”(sic dixit l’amica Kit a Julia Roberts in Pretty Woman, 1990). È vero: non c’è forse personaggio femminile delle fiabe che abbia provocato più forte immedesimazione o la cui storia sia più conosciuta, amata e segretamente sognata a tutt’oggi da un gran numero di donne di varia età. Anche perché il film a cartoon di Walt Disney del 1950 la immortalò per sempre, bionda, esile, leggera, con gli uccellini che le legavano il grembiule, facendola entrare nell’immaginario di bambine e ragazzine, attraverso i decenni, al suono di I sogni son desideri e Bibbidi Bobbidi Bu. Forse è per questo motivo che nessuno sentiva il bisogno di una nuova versione della fiaba, con attori veri e animaletti al computer. E invece…poiché dietro la cinepresa c’è l’attore e regista inglese sir Kenneth Branagh, dotato sicuramente di gusti un po’ barocchi, ma anche di buona mano nel girare, il film funziona, soprattutto per un pubblico familiare.
Branagh colloca la fiaba in un paesaggio da operetta, a metà tra le vette innevate del Liechtenstein, i castelli austriaci di Sissi e le scogliere della verdissima Cornovaglia. E si concentra a lungo sul prequel della fiaba, sull’educazione impartita alla piccola Ella, non ancora Cenerentola, dalla madre e dal padre al tantrico ritornello: “Nella vita sii gentile e abbi coraggio”. E così sarà Ella, bistrattata da matrigna e sorellastre, ma sempre fiera. A volte triste, ma mai passiva. Umile, ma ricca dei doni dell’intelligenza. Poco portata a sognare, ma piuttosto ad agire. E, più che colloquiare con gli animaletti rifugiandosi in un mondo a parte separato da quello umano come la sua antenata, pronta a saltare a cavallo e galoppare per la foresta e a rispondere con fermezza alla temibile matrigna. Qui interpretata da una Cate Blanchett avvolta in mirabolanti abiti di velluto e raso sui toni del giallo, nero, verde, più simile a una lady virago alla Tamara De Lempicka (guardare il manifesto della mostra dal 19 marzo a Torino) che alla funerea, ma indimenticabile anziana signora che riceveva Cenerentola, a letto, tra le ombre dei tendaggi del letto a baldacchino, intenta ad accarezzare il gattone Lucifero come un cattivo della Spectre. Insomma la nostra Cenerentola non è più così timida e passiva come tradizione voleva e l’incontro col principe Kit avviene nella foresta: i due giovani, ignari delle reciproche identità, si fronteggiano a cavallo, fisicamente e a parole, quasi a voler annullare ogni distinzione sociale. Poi ci sarà il ballo in stile Gattopardo (Dante Ferretti cura le scenografie), l’abito azzurro della bionda Lily James (Walt Disney lo volle bianco) tempestato di 10mila cristalli Swarovski, la fuga di mezzanotte (divertentissima), la prova della scarpetta e il reciproco riconoscimento perché “nella vita arriva sempre il momento in cui devi rivelarti per ciò che sei veramente”. Un’orfana senza nulla? Una principessa? Poco importa. Se nella vita sei gentile, hai coraggio, sempre citando Pretty Woman, anche un bel po’ di c…
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