Diciamo che password è la parola segreta per entrare in un sistema protetto. Come tradurreste passthought? Pensiero segreto? Pensateci perché ci stanno pensando. In un articolo di TechRepublic si chiedono se, appurato che a fronte di sistemi sempre più complessi migliorano anche le prestazioni degli hacker maligni che li penetrano, e che nessuno è al sicuro per quanto complessa e unica sia la sua password, non sia il caso di affidarsi alla password mentale. Ecco il ragionamento con cui ci sono arrivati. Si sono valutate le due possibilità più sicure allo stato dell’arte: o un’autenticazione biometrica (la tua iride, le tue impronte, la tua voce, eccetera) che però potrebbe essere contraffatta, o un’autenticazione multifattoriale, ovvero: a protezione del tuo sistema metti qualcosa che solo tu conosci (parola segreta), che solo tu possiedi (carta di credito), che solo tu sei (iride): due su tre risolte danno una certa sicurezza. Ma aumenta il numero di cose che devi ricordare. Tre professori,
John Chuang e Thomas Maillart della California Berkeley e Benjamin Johnson della Carnegie Mellon, sono arrivati alla conclusione che dovremmo usare come password i pensieri, cioè le passthought. Mediante registrazione delle onde cerebrali attraverso l’elettroencefalogramma (EEG). Le passthougth mettono insieme le due cose: il riconoscimento biometrico (le tue onde sono solo tue) e la multifattorialità (i tuoi pensieri li puoi avere solo tu), unite in qualcosa che non deve essere ricordato.
L’idea poteva essere eccellente già dieci anni fa se le macchine per l’EEG non fossero state così specializzate, ingombranti e costose. Oggi sono portatili. E il gruppo di Berkeley l’anno scorso le prime registrazioni le ha fatte addirittura con le cuffie Neurosky, quelle con cui si possono “pilotare col pensiero” i cellulari e alcuni game. I primi esperimenti hanno avuto bisogno di aggiustamenti ma adesso le passthought ricavate dalle onde cerebrali resistono quasi al 100 per cento agli attacchi in cui l’hacker tenta di prendere l’identità della vittima. Ora bisogna attendere e sperare che nel frattempo non imparino a leggere nel pensiero…