I Negrita alla prova del “9”, tra anni ’70 e mainstream

I Negrita annunciano un ritorno al rock delle origini e alcuni fan forse rimarranno delusi scoprendo che non è così. L'album ha richiami a suoni vintage e al rock degli anni '70, ma mantiene comunque un impianto troppo tendente al pop-rock degli ultimi dischi.

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9
dei Negrita 
(Universal)
voto: 6,5

A oltre tre anni da Dannato vivere (disco di platino) e dopo il progetto acustico Déjà vu, i Negrita tornano con un nuovo disco di inediti dal titolo 9, che già dal nome rievoca molti brani e album del rock anni ’70, e che caratterizza quello che è proprio il nono album di inediti della band aretina.
Prodotto da Fabrizio Barbacci, registrato al Grouse Lodge (Rosemount, Irlanda) e masterizzato da Ted Jensen allo Sterling Sound (New York, Usa), il nuovo album dei Negrita contiene 13 brani che, stando alle dichiarazioni dei tre “superstiti” della band (Pau, Drigo e Mac) dovrebbero recuperare le radici più rock della band.
Esatto, dovrebbero. Il condizionale, purtroppo, è d’obbligo. Perchè alle parole e alle aspettative create nei fan storici che aspettavano un suono più duro, alla XXX o alla Reset, non sono seguiti i fatti, e fondamentalmente ci troviamo di fronte ad un disco pop-rock, che procede sulla falsariga degli ultimi lavori, strizzando l’occhio più al mainstream che alle loro origini fatte di rock&blues. Chiariamo subito: non è un brutto disco, e ci sono diverse belle canzoni, ma non è un disco rock alla “Negrita anni 90”, come ci avevano promesso.
Ma procediamo con ordine: negrita - 9si parte con Il gioco, primo singolo estratto dall’album e in rotazione radiofonica da ormai un mese, scritto a quattro mani con Il Cile, per proseguire con Poser, il pezzo forte dell’album: Drigo e Mac portano avanti un poderoso riffettone rock, con Pau che si scaglia contro web, talent e tutto il mondo moderno e digitale, ricordando che le loro origini sono quelle “fisiche” e “analogiche”, fatte di persone, di dischi in vinile, di rock vero.
Il lavoro sui testi di Pau è notevole e rappresenta un’ulteriore dimostrazione della maturità acquisita nel corso anni dal frontman della band, e spiccano soprattutto le canzoni a tema sociale, come Mondo politico, una critica verso la politica mondiale e su come viene gestito ed esercitato il potere, e 1989, una fotografia di un gruppo di ventenni (quali erano i Negrita all’epoca) che si affaccia con l’incoscienza della loro età su un mondo che stava rapidamente cambiando, tra il crollo del muro di Berlino e le proteste studentesche di Piazza Tienanmen.
L’unica ballad dell’album (con un gran finale in crescendo) è Se sei l’amore, brano che inizialmente può sembrare una dichiarazione d’amore verso una donna, ma che in realtà è più una sorta di invocazione all’amore universale, come fosse un dio o un’entità superiore a cui si chiede di essere salvati, e in cui sul piano musicale troviamo molti sprazzi di Lou Reed.
Tra le particolarità dell’album troviamo Ritmo umano, un brano in 5/4. E’ la prima volta che i Negrita si cimentano in una canzone con questo tempo, e hanno deciso di farlo dopo aver partecipato al musical Jesus Christ superstar, in cui si sono ritrovati a dover suonare brani in tempi dispari, e che vede la partecipazione anche del vero Gesù del musical, Ted Neeley.
Gli altri due pezzi più tendenti al rock del disco sono Il nostro tempo è adesso, una fotografia di ragazzi in difficoltà, figli della crisi, ma che non si arrendono e hanno ancora voglia di lottare per vivere la propria vita, e Baby I’m in love, sull’eterna lotta tra l’amore e il distacco da un rapporto letale. Peccato solo per quella inspiegabile quanto inutile “parentesi” dance all’interno del pezzo, che rovina letteralmente un pezzo-bomba.
Niente è per caso e L’eutanasia del fine settimana sono due pezzi che riprendono le sonorità e le tematiche di Dannato vivere, segnando una sorta di continuità artistica con l’album precedente, che a sprazzi è molto presente in questo lavoro.
Vola via con me è il frutto di una lunga jam strumentale in studio, e sembra somigliare a qualche pezzo anni 70 dei Pink Floyd: intro di tastiere dal suono molto vintage, una piccola strofa e una lunga coda strumentale, ma rimane comunque troppo legata ad un groove funky per spiccare il volo verso la psichedelia.
Chiude l’album Non è colpa tua, un blues che fa il verso a Che colpa abbiamo noi dei Rokes, e che vede la collaborazione proprio dell’ex leader della band, Shel Shapiro, anche lui conosciuto sul palco di Jesus Christ superstar, dove recitava nei panni di Caifa.
Chi si aspettava (anche sulla base degli annunci fatti dalla band nelle scorse settimane) un ritorno a suoni più duri rimarrà deluso, mentre chi ha amato Dannato vivere apprezzerà sicuramente anche questo album, che sembra essere quasi una sua naturale prosecuzione. Proclami della vigilia a parte, rimane comunque un buon disco, che si lascia ascoltare piacevolmente ed ha al suo interno diversi pezzi di pregevole fattura, ma che a tratti sembra quasi una sorta di “incompiuta” o di “intentata”, per la serie “vorrei” (tornare al rock delle origini) “ma non posso” (allontanarmi troppo dal mainstream).

Tracklist:
1. Il gioco
2. Poser
3. Mondo politico
4. Que será, será
5. Se sei l’amore
6. 1989
7. Ritmo umano (feat. Ted Neeley)
8. Il nostro tempo è adesso
9. Baby I’m in love
10. Niente è per caso
11. L’eutanasia del fine settimana
12. Vola via con me
13. Non è colpa tua (feat. Shel Shapiro)

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