Ricordo di Franco Califano, due anni dopo. Nascita di un’amicizia a colazione, senza cappuccino e col pensiero a Demi Moore, qualche anno fa.
Arriva puntualissimo, mi chiede “Cosa prendi?” e ordina per due. Dall’altra parte del tavolo c’è l’autore di manifesti come ’N bastardo e ’N’attimo de vita. Da dove incomincio? Ci pensa lui.
Franco Califano: Scusa, ma io non so mai cosa cazzo prendere a colazione.
Beh, proprio non ti ci vedo con cappuccino e brioche.
Non è che non sono il tipo, è che io colazione proprio non la faccio. Mi alzo tardi, al massimo mi faccio due fette di salame se proprio devo. Ma la colazione classica, quella no.
Primo spunto: hai una popolarità enorme tra ragazzi che potrebbero essere tuoi nipoti, ma pochi conoscono davvero quello che hai fatto.
Guarda, a me essere seguito da tanti giovani fa un grandissimo piacere, trovo che sia il mio fiore all’occhiello e una conquista straordinaria. Anche perché io sono sempre stato tra i giovani, e non ti parlo solo della gente con cui ho collaborato a livello artistico, ma la gente comune, i ragazzi di strada. Se c’è una cosa che mi fa incazzare è il ritrovarmi con tutti ‘sti vecchi dell’ambiente musicale, quelli che quando li incontri la prima cosa che ti dicono è “A proposito, lo sai chi è morto?”.
Uno che ha pubblicato un primo album come Un bastardo venuto dal sud meriterebbe ben altro.
Ecco, vedi, tu te lo ricordi il mio primo disco, era l’inizio degli anni ’70, aprivo delle porte ma non lo sa nessuno, nessuno se lo ricorda.
Nessuno, a parte il gruppo dei Franchiani. Chi sono?
E’ un gruppo di ragazzi di Roma. Una ventina d’anni fa arrivarono a un mio concerto in un locale dove si pagava ottantamila lire a entrare, mica bruscolini, e loro avevano risparmiato per settimane per venirci. Si sono messi a fondo sala e hanno srotolato uno striscione con su scritto ‘Franchiani per sempre’. Li ho voluti conoscere uno ad uno. Abbiamo iniziato a frequentarci, ed è andata a finire che erano sempre a casa mia. In pratica mi sono cresciuti intorno: chi negli anni si è sposato e ha messo su famiglia, chi ha divorziato….. Tanto per dirti, quando qualcuno di loro mi veniva a dire “Franco, mi sposo” io facevo le previsioni: “Tu da sposato duri un anno e tre mesi”, e di solito sbagliavo di poche ore. I Franchiani ci sono ancora adesso, e a loro si sono uniti i Nuovi Franchiani, quelli che hanno assimilato il fatto di essere Franchiano e non più un semplice fan. Perché il Franchiano è uno che Califano lo conosce a fondo: ti basti pensare che a casa mia avevamo costituito una specie di Università, battezzata Califanea, con tanto di libretto per i voti. Io facevo gli esami con le domande sulla mia vita, partendo dalle più facili fino a quelle più assurde, del tipo: “Quando sono stato in clinica per la seconda volta?”. E loro sapevano tutto: date, corsi e ricorsi, cifre, nomi. Allucinante.
Passiamo al sesso. Cosa mangi a pranzo, di solito?
A pranzo quasi niente, anche lì la fettina di salame o prosciutto, il problema è che mi alzo nel primo pomeriggio e a quell’ora chi ha fame? La sera invece mangio di tutto. Io non ho gusti ricercati, vengo da una famiglia povera anche dal punto di vista culinario, e più di ogni altra cosa mi piace il cibo semplice. La pasta coi broccoli, per esempio, che è un piatto che mi fa letteralmente impazzire. Ma che c’entra col sesso?
Niente cibo afrodisiaco a cena come arma di conquista?
No, no, un momento, qui voglio essere preciso. Io quando una donna viene a cena a casa mia non ricorro a nessun cibo afrodisiaco, né a nessun altro afrodisiaco in genere, niente di niente, non scherziamo. Quando lei arriva e si siede a tavola è proprio da lì che parto e che entro in azione, da sotto il tavolo.
Il tuo piatto preferito, in quei frangenti?
Pasta alla carbonara. Sempre e comunque. Non fallisce mai.
Qual è la donna che più di tutte avresti voluto a cena a casa tua?
Demi Moore ai tempi di Striptease. Mi ha mandato letteralmente al manicomio: io me la sarei mangiata, quella donna. Demi Moore per me è stata la più grande espressione sessuale mai vista. Un piatto di carbonara e Demi Moore di fronte, e io sono l’uomo più felice del mondo. Adesso non so com’è, seguo poco il cinema e quindi non l’ho più vista, ma ai tempi mi faceva impazzire. Madonna santa.
Una mia amica sostiene che i maschi non capiscono che Califano ha il cervello di una donna.
La tua amica ha ragione. Forse è per questo che conosco bene le donne: ne ho frequentate tante, ne ho scopate di più, ne ho studiate le reazioni e credo di poter dire che non c’è una categoria di donna che io non conosca. E forse non è un caso che io abbia scritto molte canzoni portate al successo da alcune tra le cantanti più importanti del loro tempo. Il problema è che oggi la donna è un po’ uscita fuori e ha tirato fuori quello che aveva represso dentro di lei, ed è sempre pronta a mettere il maschio sotto esame. E il maschio questo l’avverte, e ha paura. Perché di sesso se ne fa sempre di meno? Perché il maschio di fronte a una che ti guarda e ti sfida se la vede brutta: loro non hanno l’eiaculazione precoce, loro stanno là e aspettano di vedere cosa riesci a fare. Anche a cena.
Champagne, spumante, altri alleati nel corteggiamento?
Qualcosina, ma niente di che, quello che c’è. Non mi piace recitare la parte di quello troppo raffinato. Per dire, io ho mangiato bene anche in galera, con i pacchi e anche con l’aiuto delle guardie.
Hai detto che anche in galera la cosa importante è conservare la propria dignità. Cosa ti resta di quel periodo?
Io amo pensare, ma non amo ricordare le cose belle. Mi piace sempre ricordare le cose brutte, cioè quelle che mi hanno aiutato a crescere. Perché se ti attacchi ai ricordi belli poi finisci per farci a cazzotti, quindi è meglio che i bei ricordi li lasci andare per i cazzi loro. Senza il collegio e senza essere stato due volte in carcere io non sarei quello che sono: coraggioso, idealista, anche generoso, attaccatissimo al valore delle piccole cose. Amo i bambini, amo la gente povera, e tutto questo me l’ha insegnato la vita che ho fatto, anche il carcere. Resta un’esperienza terribile, che tra le altre cose ha ucciso due colleghi come Walter Chiari e Enzo Tortora.
Per tutti eri “l’amico di Turatello”.
Sapevo che c’erano cose per le quali me l’avrebbero fatta pagare, a partire proprio dalla mia amicizia con Francis Turatello. Un’ amicizia di una vita, ognuno con le sue scelte, con tutte le differenze, le esperienze e le cose che possono succedere nella vita. Io un amico non lo tradisco.
Avrai ancora dei rancori.
Certo, è naturale. Tre anni e mezzo in meno da vivere non me li ha ridati nessuno, e all’epoca non c’era nemmeno il risarcimento danni. E io sono stato assolto “perché il fatto non sussiste” e non per non avere commesso il fatto, dopo tre anni e mezzo complessivi di carcere, senza mai una lacrima o una lamentela, senza sbraitare, senza dire nulla. Quando sono uscito me ne sono tornato a casa e ho ricominciato da capo, come ho fatto mille volte, trovando tutte le porte chiuse. Anche perché io sono veramente un cornuto, uno che sfida. Uno che prima di uscire dal carcere va all’ora di aria e si prende l’abbronzatura, che si fa comprare la macchina scoperta e se la fa mettere fuori dal carcere, e quando esco sono lì con due fighe sulla macchina scoperta, tutto abbronzato. E davanti a una scena del genere la gente schiuma di rabbia, e pensa: “Ma questo figlio di puttana non muore davvero mai”. Tutto questo non ti fa apparire migliore, ma ti fa detestare ancora di più. Ti odiano proprio, ed era quello che volevo.
Eri tu che cantavi “Io, che non la davo vinta neanche morto”.
Le lacerazioni interne c’erano, ma è vero che non la volevo dare vinta a nessuno. La cosa importante era uscire di lì e rinascere; poi le cose me le sono tenute dentro e me la sono presa sempre da solo, sofferenza compresa. Anzi, ci ho giocato sopra, e ci ho fatto dei monologhi da ridere nei concerti. Perché nel carcere non c’è solo violenza, ci si racconta anche le barzellette. Di fuori, nel mondo civile, è diventato normale combattere la violenza a colpi di violenza, la retorica a colpi di retorica: questo è un paese davvero allucinante. In galera ci si diverte anche, si gioca a carte, c’è una specie di complicità tra guardie e ladri che non è mai stata detta, perché se non c’è violenza non c’è notizia. Invece lì dentro la guardia ti dice: “Guarda, tu sei entrato, ma se tu non mi rompi i coglioni io non li rompo a te: siamo qui tutti e due, io prendo lo stipendio, tu no e mi dispiace, ma cerchiamo di convivere”. E ci si racconta i cazzi propri, io a lui e lui a me.
E’ vero che sei nato a Tripoli per una questione di scalo aereo?
E’ verissimo, perché mia madre aveva avuto le doglie in aereo e il comandante era atterrato all’aeroporto più vicino per farla partorire. Se fossi nato ai giorni nostri, visto che oggi è possibile partorire in aereo, beh, sarei stato diverso anche lì: pensa che bello nascere in volo, nell’ aria. Sarebbe stato fantastico: senza patria, senza appartenenza. Stupendo.
Non temi di essere visto come un’icona del trash all’italiana, un dinosauro della pseudo-trasgressione?
No, e per un semplice fatto: tutto va bene, quando ci sono i valori. E allora tu mi puoi dire quello che vuoi: cane, porco, maiale. Ma alla fine io ho scritto Tutto il resto è noia, e tu te lo prendi in culo. Mi sono accorto negli ultimi anni che posso fare qualsiasi cosa, e più trasgredisco più ho pubblico. La differenza col passato è che per anni nessuno ha mai parlato di me, anche perché io non ho mai avuto amici giornalisti, né ho mai organizzato feste private per loro. E questo può anche essere un mio grande difetto. Riguardo all’essere un trasgressivo, ormai è diventata una parola d’uso corrente: uno è un po’ diverso dagli altri e gli appiccicano subito addosso l’etichetta di maledetto. Una volta un certo tipo di personaggio lo definivi scomodo, ma adesso non lo senti dire più. Personalmente, io mi definirei in due modi differenti, perché io sono due persone diverse. Il primo è UomoArtista, tutto attaccato. Il secondo è Personaggio Da Difendere, ruolo che mi sono costruito addosso nei confronti della stampa e dei media. Mi sento un UomoArtista, perché io stimo moltissimo me stesso come artista e come uomo. Stimo un po’ meno il mio personaggio, ma ho accettato il gioco di fare il Califano, e ogni tanto mi ci diverto pure. Certamente questo Personaggio è un po’ ingombrante, ma come fai a cambiare? Ci vorrebbero dieci persone come te, che un bel giorno decidessero tutti insieme di dare a Califano il suo volto vero di fronte alla gente.
Poco fa mi hai detto che un uomo saggio è meglio di un uomo colto.
Ne sono convinto più che mai. Ti faccio un esempio. Sono stato due ore e mezza alla Sapienza a Roma, e ho parlato con i ragazzi del corso di sociologia: Aula Magna tutta piena, applausi ogni dieci minuti. Mi hanno messo in mezzo a due professori, e io gli ho detto: “Signori, qui o vi ci mettete voi, o mi ci metto io. Quindi, fuori dai coglioni”, e con questa mossa già mi sono conquistato tutti. Poi abbiamo parlato liberamente, e alla fine mi è rimasta dentro un po’ di amarezza: ma come sono, ‘sti professori? Cosa cazzo raccontano a ‘sti ragazzi per essere così odiati, così messi in mezzo, così detestati? Parlare ai ragazzi è difficile certamente, ma uno ce la può fare, se non entri con l’arroganza dello stronzo e ti metti dietro la cattedra con l’andazzo di una macchinetta. Coi ragazzi devi saperci parlare. E’ lì che ho capito davvero quant’è importante avere praticato la vita.
Ti hanno definito ‘il Prevért di Trastevere’. Se ti facessi il nome di Gainsbourg?
Non lo conosco. Ma mi hanno dato anche del Tom Waits.
Era quello di Je T’Aime Moi Non Plus.
Ah, sì, certo, sai, io per i nomi….. sì, lui era perfetto.
Aveva pubblicizzato il suo ultimo disco così: “Gainsbourg non aspetta di morire per diventare una leggenda”. Cosa ne dici?
Grande. Questa gliela rubo.