Un biglietto per Franco Califano.

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Franco Califano

“Io nun piango quando un uomo s’ammazza / il suo sangue non mi fa tenerezza / anche se allagasse tutta una piazza”. Quando negli anni ‘70 scrivevi ‘Io Nun Piango’ una cosa non la sapevi, e cioè che i tuoi Franchiani un giorno ti avrebbero disobbedito e avrebbero pianto e pianto ancora, anche se non ti sei mica ammazzato come Piero Ciampi. Non ho mai capito cosa ti legasse in quel modo a lui, così distante da te in tutto: gli avevi dedicato proprio quella canzone, a lui che si era ammazzato davvero, a meno che non si voglia credere che il suo “male incurabile” fosse venuto da solo.

Sgombriamo subito il campo dalle pietose bugie. Tu non sei mai stato un idolo della barricata da cui vengo io, così come non lo sei stato di quasi tutti quelli della mia generazione più o meno di strada, anzi: i tuoi ‘Tac’ e i tuoi Minuetti erano roba di altri. Checchè ne dicano oggi, tu eri e restavi un uomo di altri ambienti, tutti lontani da noi, dalla tardissima notte al Derby di Milano agli uffici delle majors del disco che riempivi con l’ultima canzone, quella “perfetta per Sanremo, adesso sentiamo la Mimì se no c’è Patty, ma Mina non riusciamo ad averla”. A nessuno in quegli uffici fregava niente di te e di quello che sapevi fare davvero. Perché puoi essere UomoArtista finchè vuoi, Franco, ma se poi ti mandano al DiscoRing di ‘Baila Guapa’, allora vallo a raccontare che quello non è trash o roba da galera. Ironie della sorte, perchè la galera -quella vera- te l’eri fatta con Chiari-Luttazzi prima e per Gianni Il Bello poi, e dopo l’era-Tortora avevi dovuto ricominciare tutto da capo. E’ più facile dirla che sfangarsela.

Ti ho conosciuto grazie a Marco Mathieu (l’ex Negazione) e alla mitologica Rossella ‘Branson’ Leonardi (ho ancora la copia originale della biografia di Sir Richard col tuo biglietto da visita allegato, Rossella). Dovevo intervistarti per un famoso mensile: “ma se gli stai sul cazzo è finita”, mi avevano bombardato per una settimana. Non era stato così, e che strano rapporto ne era venuto fuori. “Oh, ma è vero che dopo l’intervista con me ne devi fare una a un certo Tonino Carotone? E chi è questo? Secondo te mi farà bene dividere una pagina con lui?”. Non lo sapevi davvero chi era, Tonino, e sembravi quasi preoccupato della concomitanza.

Il revival di popolarità sui coatti di fine anni ’90, i Music Farm e sciocchezze allegate (le cazzate di Romanzo Criminale, le leggende sulla Magliana, ecc.) ti avevano spiazzato, ma quando ne parlavi ti brillavano gli occhi. Ti piaceva pensare che il tuo vero valore di autore fosse stato finalmente riconosciuto. Ma come ti avevo detto più volte oggi te lo direi ancora: eri un po’ ottimista, Franco, visto che il tuo vero capolavoro (il tuo clamoroso primo album apparso all’alba degli anni ‘70, ‘Un Bastardo Venuto Dal Sud’) non ha mai trovato orecchie. Tu la regolavi seccamente e mi dicevi che non te ne fregava niente, ma non era vero.

Nessun argomento con te è mai caduto nel vuoto. Non mi sarei mai aspettato i racconti sulla galera, sulla tua amicizia con Francis Turatello, sulla tua vera faccia. Hai voluto parlare tu di tutto senza che io ti chiedessi niente. Anche qui, è più facile dirlo. Mi torna spesso in mente quel primo incontro e quella foto abbracciati, bellissima, che non mi è mai arrivata. Era iniziata così, e mi avevi rincorso allungandomi un biglietto con i tuoi numeri di telefono. Li ho ancora nel mio cellulare.

Chiudo questo biglietto con un lampo. Un giorno Federico Zampaglione dei Tiromancino mi dice: “Due sere fa mi telefona Franco: ‘Tra un quarto d’ora sono sotto casa tua, ti vengo a prendere’. Arriva, salgo in macchina, è quasi il tramonto e lui guida senza dire una parola chesia una. Usciamo da Roma, e a un certo punto frena davanti a un campo, spegne il motore e guarda il sole che tramonta senza aprire bocca. Silenzio assoluto. Non parlo nemmeno io, e la cosa si fa imbarazzante. Dopo un po’ mi giro, lo guardo e vedo che ha le lacrime che gli rigano le guance. ‘Franco, cos’hai, che c’è?’. Lui si asciuga le lacrime, rimette in moto e mormora: ‘Scusa, volevo vedere il sole che muore. Mi fa sempre piangere’”.

 

Franco Califano

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