Bird Calls
di Rudresh Mahanthappa
(Act/Egea)
Voto 9
È un piccolo capolavoro di jazz mainstream, il jazz che più jazz non ce n’è, quello a denominazione d’origine controllata. E l’origine è presto svelata: si tratta del bebop anni 40/50 di parkeriana memoria, Infatti Rudresh Mahanthappa, 44enne altista nato a Trieste da genitori indo-statunitensi (il padre era di stanza nell’accademia militare della città giuliana) del Colorado ed entrato nel giro jazz newyorchese poco più che ventenne, è cresciuto a “pane e Bird” (“bird oppure “yardbird” era il soprannome di Charlie Parker – uno dei jazzisti più importanti si sempre -, dettato dalla sua passione gastronomica per il pollo fritto).
“L’ho ascoltato la prima volta a 12 anni”, dice Rudresh. “Il suo puro virtuosismo e l’innovativo vocabolario erano ovviamente sbalorditivi, ma ciò che mi colpì e che continua a ispirarmi è la gioia, lo humor e la bellezza che sa rappresentare, evocare e instillare. È stato Bird che accese la scintilla per portarmi a una vita di musica. Da allora non ho mai smesso.”
Inevitabile quindi che il sassofonista arrivasse prima o poi a realizzare un album in omaggio all’indiscusso maestro. Lo fa con Bird Calls, il suo quattordicesimo da leader o da co-leader, considerato che le sue performance migliori erano finora quelle in duo con il pianista Vijay Iyer e quella con il pioniere del sax nella musica carnatica (dell’India del sud) Kadri Gopalnath.
Il risultato è emozionante. Il bebop di Bird – grazie agli otto brani utilizzati come ispirazioni, interpolazioni, estratti e decostruzioni – diventa lo spunto per lanciare la forza e la capacità di sintesi unica del linguaggio jazz di Mahanhtappa verso una ricerca geniale, un mix senza compromessi di forza rapida e flusso lirico, un incrocio di richiami e spunti. Grazie anche a un quartetto di accompagnatori in cui spiccano il ventenne trombettista figlio d’arte Adam O’Farrill, che fa incontrare con la spudoratezza della sua gioventù Dizzy Gillespie e Miles Davis, e il propulsivo batterista Rudy Royston.
Cercare i legami tra i brani attuali e i riferimenti birdiani è il gioco che il sassofonista propone, ma soprattutto tra ritmi sovralimentati, armonie nelle armonie, cambi di melodie sui medesimi accordi, scale diverse, medesime sequenze che suonano lontanissime, Mahanhtappa regala un jazz pulsante e vitale come se ne ascolta poco, capace di unire la New York del XXI secolo a quella caotica e informale di quasi settant’anni fa.
“Talin Is Thinking” prende il riff di “Parker’s Mood” per farne un gioco sincopato in onore del figlio di due anni; “Sure Why Not” è un blues fuori riga; “Gopuram”, nome di una torre monumentale decorata posta all’ingresso di un tempio, si rifà agli amori carnatici e ai raga indù resi in chiave jazz; “Both Hands” riprende e supera a velocità doppia la “Dexterity” parkeriana; la conclusiva “Man, Thanks For Coming” è umoristica e maliziosa. I brani sono punteggiati da rapidi intermezzi – da “Bird Calls #1” a “Bird Calls #5” – che evocano gli amori suggeriti dal maestro: la suggestione classica, il dialogo sax/tromba, il romanticismo quasi canzonettistico, il mistero interiore (il solo di contrabbasso del #4) e le innovazioni armoniche (il solo di piano del #5).
Un disco eccellente, tra i più alti omaggi a Bird, uno che amava criptare le idee degli altri nelle sue improvvisazioni. Un disco che ha fatto scrivere “Mahanthappa sta a Parker come Albert Einstein sta a Isaac Newton”. Complimento meritato.