Io sono Alfa. La strage senza firma

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coverLo stragismo di Io sono Alfa non ha volto e ha tutti i volti. Non è islamico, non è brigatista, non è nero, non è mafioso. Tutti li comprende e tutti li integra, perché è come la summa di tutti i terrorismi (di tutti i nichilismi, verrebbe da dire). E di tutte le nostre paure di occidente tramortito.
Comincia con una serie di attentati davanti alle scuole elementari. Mentre i genitori accompagnano i figli, a Novara, a Bologna e in altre città i cassonetti della spazzatura esplodono. Qualche minuto, neanche il tempo di fare la conta dei morti e dei feriti, e la seconda bomba deflagra appena arrivano i soccorsi. In modo che nessuno si salvi. In modo che a nessuno venga più in mente di dare una mano, di rendersi utile.
Nessuno rivendica gli attentati, nessuno si fa sorprendere e inquadrare dalle telecamere. C’è solo, sul luogo delle stragi (che aumenteranno, non diciamo come e dove, apparentemente inarrestabili e inconstrastabili), una indecifrabile firma: la prima lettera dell’alfabeto greco, Alfa, tracciata con la vernice rossa.
E le vittime, la cittadinanza? Non reagiscono, o reagiscono a modo loro. Cercando di indagare (il giornalista Paolo, in contatto con hacker e gente dei servizi), di non lasciarsi sopraffare dal lutto e dalla voglia di farla finita (il chirurgo Francesca, che ha perso il marito poliziotto e una figlia), di mantenere la schiena dritta anche nell’ammissione di una sconfitta che è insieme politica ed esistenziale (il parlamentare onesto e riflessivo Gualtiero). Ma, per lo più, barricandosi in casa, uscendo per fare le scorte come in una Sarajevo assediata, scappando. O improvvisando ronde, linciando malcapitati e dropout. Soltanto pochi ragazzi, come un’invisibile ed esigua resistenza, tracciano sui muri scritte blu e dorate di speranza.
La reazione del governo è in apparenza ferma, forse obbligata ma in qualche modo rassegnata: l’abolizione progressiva di privacy e diritti, la chiusura di scuole e supermercati, il coprifuoco e l’esercito per strada. Come era arrivato, lo stragismo finisce. Lasciandoci l’amaro in bocca di una società che ha perso la capacità di “stare insieme”, di un punto di non ritorno che è stato varcato.
Patrick Fogli ha 43 anni, è di Bologna, ha già scritto sette romanzi “noir” che indagavano sulla strage della stazione di Bologna, sulla mafia, sui poteri occulti e su molto altro: pedofilia, minorenni che scompaiono e l’orrenda canea mediatica che monta attorno a queste scomparse, amianto. Con una vocazione etica a “stare” nella storia d’Italia indagandone le brutture, lo sporco sotto il tappeto.
Bravo e talentuoso, negli ultimi anni è cresciuto d’intensità. il romanzo precedente (Dovrei essere fumo, Piemme, 2014) affrontava, con piena maturità, il tema tragico dalla Shoah integrandolo in una trama noir. Con questa nuova prova, Fogli approda a un noir metafisico sui rischi autoritari delle democrazie che combattono il terrore: sul timore che, per parafrasare Nietzsche, per combattere il drago si diventi il drago. Come un’apocalisse a bassa intensità (in mente ho le Twin Towers dell’Uomo che cade di DeLillo), come un’innocenza perduta per sempre, come un mondo che finisce “not with a bang but a whimper”, Io sono Alfa è un apologo crudele e necessario su di noi. Sul sonno della nostra ragione che genera mostri. La letteratura italiana recente ha prodotto forse apocalissi più allucinate (in Grande Madre Rossa di Giuseppe Genna il Palazzo di Giustizia di Milano esplodeva lanciando scorie di marmo a 35 chilometri dell’epicentro), ma nessuna così persuasiva e poco effettistica. Gran bel libro.

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