Jana, 46 anni, prostituta, due figli, un compagno, da undici anni venditrice professionista del proprio corpo, accoglie un gruppo di aspiranti scrittori in un ex bordello trasformato in albergo, spiega in due parole come anche il mobilio- quando lì le donne si prostituivano- fosse stato scelto in funzione dell’obiettivo di vendere la merce sesso (desiderio? felicità? accettazione?) in cambio di denaro facile e poi, a partire da sè, dalla propria esperienza di accettarsi ma anche di morire un po’ dentro, trascina gli altri in un discorso sul sesso, i desideri, le fantasie, le esperienze personali. Si è detto che l’ambiente bucolico è un po’ quello del Decamerone con i giovani che si raccontano storie legate alla morte, al sesso, all’amore. Più che alle storie “l’effetto Jana” apre alle confessioni: l’elemento curioso è che il mondo della professionista del sesso non sembra “altro” da quello degli aspiranti narratori. Talvolta pare una sociologia troppo facile e troppo comprensiva. Però, dopo un po’, ci si chiede se, come fare sesso e vedere fare sesso sono due cose separate ma unite dal coinvolgimento emotivo, così parlare di sesso (loro) e vedere parlare di sesso (noi) non siano altre due cose separate ma unite dal coinvolgimento emotivo. Insomma, si parte da Jana ma poi chi parla sono perlopiù gli aspiranti scrittori, e lo spettatore è coinvolto in un’esperienza di gruppo (grazie a Dio agli antipodi della chiacchiera televisiva) con reazioni che vanno dal sorridere del proprio interesse, al desiderio di rispondere a volte con dei giganteschi chissenefrega di fronte all’intimità altrui. Questo significa che la cosa, senza far barcollare nessuna coscienza, funziona. E tira fuori qualcosa di noi… Al Torino Film Festival il documentario di Wilma Labate è stato presentato nella sezione presieduta da Virzì, Diritti&Rovesci. Jana ha vinto il nastro d’argento come Miglior Protagonista di documentari. Che è il riconoscimento che si è un po’ mangiata gli altri e quando esce di scena il docu sembra parlare d’altro…
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