Era un piccolo uomo a capo di un Paese grande.
Siccome il Paese da lui guidato si era scoperto ricco di risorse delle quali erano ghiotti tutti i Paesi che lo circondavano, egli si comportava come un vero tiranno: invadeva i piccoli stati prossimi al suo, interveniva con l’esercito per sedare ogni rivolta, sosteneva governi pericolosamente avversi a ogni emancipazione.
Ogni volta che un altro capo di Stato gli muoveva qualche critica, lui minacciava la sospensione delle risorse dalle quali gli altri sembravano dipendenti.
Un giorno un altro uomo, più grande di lui, dopo averlo più volte avversato, fu vittima di un misterioso attentato. Due sicari lo raggiunsero per la strada e gli spararono cinque colpi di pistola alle spalle, uccidendolo.
Questo costrinse il piccolo uomo a capo dello stato grande a discolparsi pubblicamente. Chiamò a raccolta tutti i giornalisti del suo come dei Paesi lontani, e annunciò che lui di quell’uccisione non ne sapeva niente e che si sarebbe dato da fare per capire chi avesse fatto una cosa così.
Naturalmente tutti gli credettero, convenendo che sarebbe risultato controproducente se fosse stato lui il mandante dell’eliminazione del suo principale contestatore.
Controproducente? Si domandarono subito alcuni. E ragionarono che il piccolo uomo avrebbe tratto in ogni caso un bel vantaggio da quella morte. E data la sua potenza, se fosse stato lui il mandante, chi dice che si sarebbe mai scoperta la sua colpa? Ricordarono poi che già altri individui scomodi in un recente passato avessero fatto una fine sospetta.
La maggioranza non diede però peso a quelle riflessioni, e per tutti fu pacifico che se qualcuno uccide l’avversario politico di un uomo che agisce male, l’uomo che agisce male non può essere il mandante poiché sarebbe troppo banale.
Allora tutti si misero alla ricerca del vero cattivo che aveva avuto l’idea di uccidere un buono per un misterioso disegno che comunque finiva per favorire un cattivo.
Cerca e ricerca, furono trovati alcuni disperati, e questi confessarono subito spontaneamente.
Anche se nella storia c’era comunque qualche cosa di stonato, anche se uno si era suicidato e un altro ritrattava la prima confessione, tutti proseguirono a credere a quello che ufficialmente veniva dichiarato: i cattivi erano stati scovati.
Quando tutti tendevano già a dimenticare l’accaduto, durante un concerto piuttosto insolito un pianista salì sul suo pianoforte e tra la sorpresa generale disse:
– Sentite questa: se un uomo che pacificamente ne contesta un altro viene ucciso, la colpa diretta o indiretta sarà sempre e comunque del contestato, se questi è a capo dello stato.
Nel silenzio più assoluto il pubblico pensò che si fosse ammattito, e che in tutti i casi non era quello il modo di fare musica.
Ma il pianista aggiunse:
– Aspettate, amici, ho ancora alcune note da proporre.
E passeggiando sulla tastiera disse:
– Se il Paese fosse un Grande Paese e non solamente un paese grande, molti di noi si sarebbero ribellati.
E se il capo dello stato non fosse solo un uomo piccolo, dopo un fatto così avrebbe avuto la grandezza di dimettersi, dimostrando la propria buona fede. – E più amaramente aggiunse quasi tra sé: – Nessuno può seriamente proseguire una partita se il proprio avversario ha smesso di giocare.
Allora il pubblico indignato cominciò a defluire dalla sala da concerto, e mentre la gente usciva, il pianista dall’alto del pianoforte prese a urlare loro:
– Badate: al momento ciò che resta è un vantaggio diretto per il piccolo uomo, che continuerà a fare i suoi errori senza che nessuno gli si opponga, vista la fine che fanno i suoi oppositori. Ma uno svantaggio indiretto per tutti noi e per i Paesi che per basso interesse saranno costretti a trattare con un presunto assassino!
Ma era rimasto ormai solo sul palco, in piedi sopra il suo pianoforte, e malinconico lo osservava dall’alto.
E nel guardarlo trovò che, anche se non suonato e visto da quell’altezza, il suo fosse uno strumento bellissimo.
Faceva sentire uomini grandi.
Fu ciò che lo fece vibrare d’orgoglio, in attesa che arrivassero le guardie.
Buongiorno gianCarlo, oggi è stata annunciata la morte di uno scrittore che ha conosciuto un piccolo uomo: Guenther Grass. Nella sua autobiografia, Sbucciando la cipolla, tra le altre cose, Grass scrive:
“Chi ricorda in modo confuso, talvolta arriva comunque vicinissimo alla verità, sia pure per vie traverse.
Per lo più sono oggetti, contro i quali urta il mio ricordo, mi
sbuccio il ginocchio o che mi lasciano in bocca il sapore del disgusto:
la stufa di ceramica… Le stanghe per battere i tappeti nei cortili
interni… Il gabinetto sull’ammezzato… La valigia in soffitta… Un pezzo
di ambra, grande quanto un uovo di piccione… Chi ha conservato la
sensazione tattile del fermaglio per capelli della mamma o del
fazzoletto di papà annodato ai quattro capi sotto la calura estiva o del
particolare valore di scambio di schegge di bombe o di granata
variamente dentellate, a costui vengono in mente – sia pure come
piacevole pretesto – storie in cui c’è più realtà che nella vita vera.”
grazie per questo bel racconto. Nel mio finale personale, però, quell’artista con il pianoforte in un modo o nell’altro salterà il muro, magari con il loro aiuto, come fece Hans Conrad Schumann che saltò il filo spinato il 15 agosto 1961, quando il muro di Berlino era in costruzione nella foto di Peter Leibing. Un saluto