L’amore non perdona. Anche se sconveniente

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Adriana (Ariane Ascaride) franco italiana, sessanta anni, vedova, infermiera, una figlia, incontra Mohamed (Helmi Dridi), trenta anni, marocchino. Hanno in comune la lingua francese. È amore. È scandalo. È rigetto sociale. Non piace alla figlia di lei, non piace alla famiglia di lui. Ricordate Emmi, sui cinquanta, tedesca, donna delle pulizie, che si mise con Alì, sui trenta, marocchino e tutti intorno si misero contro, dai parenti ai negozianti? Era La paura mangia l’anima (conosciuto anche come Tutti gli altri si chiamano Alì) di Fassbinder. Era il 1974. Siamo nel 2015, in Italia invece che in Germania, la variante romanzesca quasi obbligata è che Mohamed ha un cugino che flirta con la jihad. Fassbinder giocava a raffreddare il melodramma di Douglas Sirk, Stefano Consiglio viene dal documentario ed è al suo primo lungometraggio di finzione, ma coglie l’amara ironia del controllo sociale/parentale: per la società, per i figli, “I genitori non ballano, non ridono troppo e non fanno mai l’amore”

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