White God. Il cane è una metafora, ma morde

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White God
di Kornel Mundruczo
con Zsófia Psotta, Sandor Zsoter, Lili Horváth, Szabolcs Thuróczy
Voto 6+

Una ragazzina adora il suo cane Hagen. Purtroppo ha una madre matrigna che ha lasciato la famiglia, un padre triste e debole che fa i controlli al mattatoio, vive in una nazione dell’est dove il governo tassa i cani non di razza e suona in un’orchestra di cui disprezza il direttore. Di incomprensione in incomprensione (genere: io non parlo, tu non capisci, io m’arrabbio, tu urli), il cane viene abbandonato in autostrada e conosce la fame, la solitudine, la furia o l’amore dei reietti, la cattiveria dei poveri, viene venduto a uno zingaro e drogato e addestrato ai combattimenti clandestini, infine finisce al canile/lager e lì guida la rivolta degli schiavi, e come Spartacus alla testa di un branco inferocito mette in scacco la città.
Quello che all’inizio sembra un film stralunato e irritante su adolescenza e insofferenza, diventa una metafora splatter che dovrebbe mettere in guardia su un potere che non tollera più le diversità (i cani di razza non pura). Ma nella cagnara complessiva potrebbe anche essere un film contro i poveri che si mordono tra loro, i genitori che son vigliacchi, i governi che sono ottusi, le masse che sono pronte a seguire il primo che abbaia forte e le rivoluzioni sopite appena un pifferaio (o una ragazzina con la tromba) le addormenta. Tutti contro tutti in un film per tutte le metafore. Fin dal titolo che pare faccia riferimento all’insana presunzione razziale che Dio dovrebbe essere bianco (sì, sarebbe triste, ma quando lo dicono?) o, secondo altri, sarebbe un rovesciamento di White Dog (da Dog/cane a God/Dio), film mito di Samuel Fuller su un cane addestrato a uccidere solo i neri. Ma il regista che in originale l’ha chiamato “Sinfonia per Hagen”, lo sa? Nel dubbio e nella guerra di tutti contro tutti, noi mordiamo il film. Grrr.
Anche se ha vinto il Certain Regard a Cannes.

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