Toto XIV
dei Toto
Voto 9
Primavera 2015: il Gotha dei supermusicisti della Città degli Angeli è tornato, la famiglia di alcuni dei top session players californiani si è ricomposta in onore degli scomparsi Jeff e Mike Porcaro, tutti gli amici, Lenny Castro, Michael McDonald, l’originario bassista David Hungate per decenni transfuga a Nashville, Tom Scott, Leland Sklar, Tal Wilkenfield si sono compattati per realizzare il quattordicesimo album dei Toto.
Un corposo riff di chitarra orientaleggiante dà il via a Runnin’ out of mind, che cede il posto a Burn con un riconoscibilissimo movimento di piano targato David Paich: “Ti sento piangere da dietro la porta, una prigione solitaria disegnata da te” canta Joe Williams (nato da nobili lombi, essendo il figlio di John Williams, allievo di Segovia e autore di blasonate colonne sonore tipo Lo squalo). È uno dei pezzi caposaldo di questo XIV, dato alle stampe dopo un’assenza di ben nove anni dal precedente Fallin’ in between, con una ritmica tonante condotta da Lee Sklar al basso e dal nuovo ottimo batterista Keith Carlock. È un pezzo insinuante nella melodia e potente nel coro che ti entra dentro e ci rimane.
Holy war si apre con un classico guitar riff di Lukather che ricorda il vecchio classico White sister, e si snoda secondo canoni molto anni ’80, con il basso dello storico bassista della formazione David Hungate, richiesto a gran voce per ricreare il magico sound di Toto IV a cui questo disco si ricollega per la qualità dei pezzi, raffinati ma commerciali come non si sentivano da tempo tra i solchi della band. E il vecchio sodale Lenny Castro ricama con le sue percussioni lo splendido solo di Luke.
21 century blues: shuffle nella chitarra e nella voce del talentuoso Steve Lukather, che rieccheggia gli Steely Dan che tutti loro conoscono bene (ricordiamo Jeff Porcaro in Gaucho): tra queste atmosfere armonicamente jazz Donald Fagen sembra sogghignare in un angolo e la notte di L.A. è intersecata dai sax di Tom Scott e dall’Hammond di David Paich.
Orphan: “Sono nato in un ufficio di oggetti smarriti, un orfano cresciuto nella Metropolitana, poi un giorno ho aperto gli occhi, mi sono guardato intorno e ho realizzato che non avevo né madre, né padre, né sorelle, né fratelli”. Così si apre questo splendido pezzo, di grande scrittura, graffiato dai secchi accordi di Lukather, e con un inciso molto di atmosfera Police.
Unknown soldier: l’acustica e la voce di Steve Lukather rendono omaggio al primo dei fratelli Porcaro scomparso, Jeffrey, un batterista che ha segnato un’epoca, e alle migliaia di soldati sconosciuti morti nelle varie guerre. Non a caso l’atmosfera musicale è molto militaresca, con i synth di Steve Porcaro a disegnare quasi cornamuse irlandesi. Gran bella canzone.
The little things: qui voglio spendere un po’ di parole per l’unico dei fratelli Porcaro rimasto (come ricorderete anche Mike recentemente ha perso la sua battaglia contro la SLA: clicca qui per leggere il nostro ricordo). Se David Paich ha sempre rappresentato come tastierista il lato più sanguigno, dedicandosi magistralmente soprattutto al piano e all’organo Hammond, Steve Porcaro, dopo un volontario esilio dalla band per dedicarsi alle soundtracks e alla pubblicità, è sempre stato lo specialista dei sintetizzatori, degli arrangiamenti di archi e degli abbellimenti armonizzati. Un po’ schivo nel carattere ha però scritto una grande canzone per Michael Jackson, Human nature, acui questa The little things si avvicina come armonia e atmosfera. Grande pop di classe, Michael Jackson benedice da lassù, loop elettronici leggeri, tintinnanti marimbas e sussurri.
Chinatown: scritto da David Paich, rimasto nel cassetto dal 1977, risente della magica atmosfera dei Toto dell’inizio, ed è un piacere risentire dei pezzi così, funky coi cari, vecchi stacchi di chitarra distorta, echi di Doobie Bros. e, non a caso, Michael McDonald presente alle backing vocals: il solo di Luke è gustosissimo e il marpione Tom Scott crea sul finale ancora tessiture di scuola Steely Dan.
All the tears that shine: la timbrica calda di Paich apre l’ennesimo pezzo di grande levatura di questo disco, in cui il lavoro di gruppo, tra vecchi amici e nuovi innesti, con l’accurata produzione di C.J. Vanston, ha fatto veramente la differenza.
Fortune: un pezzo minore, che vede la presenza di Tal Wilkenfield, giovanissima bassista introdotta nel music-biz da Vinnie Colaiuta e Jeff Beck.
Great expectations: un classico Toto che potrebbe appartenere al primo album, un altro gioiello targato Paich, Lukather e Williams, suonato alla grande, con quel sound che si sono inventati loro, mettendo insieme la creatività maturata da un’enorme esperienza che li ha portati per anni ad essere la crema dei session men. Questo è un pezzo di vero virtuosismo, in cui si miscelano il rock, la fusion, il latin, il prog e chi più ne ha più ne metta. Ed è la magnifica chiusura per l’album del loro ritorno, della loro rinascita. Long live Toto!!!!!
Ecco il video di Orphan