Bosnia 1988. Cacciatori in cerca di lupi incappano in un ragazzino. Ulula, mostra le zanne, digrigna i denti, è sporco e non sa stare in piedi. Cresciuto nella foresta. Mandato in un orfanotrofio di Belgrado lo chiamano Haris Puchke e lo lasciano lì, fino a che qualcuno si rende conto che non è un ritardato e lo tratta da bambino vero. Così cominca a evolvere. È una strada dolorosa: alzarsi in piedi, spaventare i cani, conoscere gli umani, preferire i lupi. Quando è quasi umano, la burocrazia della Bosnia Herzegovina in guerra lo reclama. E così Haris preferisce tornare tra gli animali della foresta. Il ragazzo selvaggio di Vuk Ršumović a differenza di quello di Truffaut non canta (con tutti i dubbi inquieti di Truffaut) le lodi dell’illuminismo e della ragione: è una metafora incarnata del destino balcanico dalla prospettiva di una creatura a quattro zampe, che anche quando si alza su due non capisce bene il ruolo delle scarpe nella sua vita. Premio per il miglior sceneggiatore, premio Fipresci e premio del pubblico Rarovideo alla 29. Settimana internazionale della critica (Venezia, 2014)