Ci sono alcuni dischi che ti cambiano la vita, che ti colpiscono nel profondo fin dal primo ascolto e continuano a lasciare tracce nell’anima nel tempo.
Mi è successo poche volte nella vita. Negli ultimi anni ricordo di avere avuto un effetto simile con il disco My Song di Keith Jarret. Ero a casa di un amico che me lo fece ascoltare e, mi ricordo, già dalle prime note del primo brano (che è proprio My song) ebbi quasi un sussulto.
L’effetto è difficile da descrivere: un po’ come sentire un vuoto nell’anima che si riempie, un bisogno di cui nemmeno conoscevi l’esistenza finalmente soddisfatto. Per un musicista, poi, si aggiunge anche una sensazione del tipo “è questa la direzione in cui voglio andare”, “è così che avrei sempre voluto suonare/scrivere”. Non è gelosia, sia chiaro, è una sensazione quasi di riconoscenza, come per qualcuno che finalmente ti ha acceso una luce, grazie alla quale puoi fare qualche passo in più in un percorso che prima non era illuminato e di cui non immaginavi nemmeno l’esistenza.
Stiamo parlando di sensazioni importanti, insomma, e la musica a volte può fare questo. Ma non è di Keith Jarret che voglio parlare e nemmeno di vuoti nell’anima ma dell’ultimo disco di Damien Rice, My favourite Faded Fantasy (questo è un link a Itunes, gli altri che seguono saranno a youtube).
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Probabilmente ho trovato un teaser o il primo videoclip del disco in un post di qualcuno su FB e, spinto dalla curiosità, sono poi andato ad ascoltare il resto del disco. Damien Rice lo conoscevo solo di nome, non era fra i miei preferiti e i suoi altri due dischi li avevo forse ascoltati distrattamente negli anni scorsi, soprattutto in relazione alle belle canzoni dell’ultimo disco di Lisa Hannigan che ha spesso lavorato con lui in passato.
Passiamo al disco. Dentro My Favourite Faded Fantasy ci sono solo otto (8!) tracce a conferma che qualità e quantità spesso non sono sinonimi. Poco e bello.
Diverse cose mi colpiscono di questo disco. Cercherò di scriverne alcune e poi naturalmente lascerò a voi l’ascolto e la parola nei commenti, qui in basso, per sapere cosa ne pensate e se e cosa vi è piaciuto.
La prima che devo dirvi riguarda naturalmente il canto, l’intensità del canto. E’ emozionante percepire l’urgenza e la densità di emozioni in una voce. In una voce o uno strumento… per farmi capire: se ascoltate il sassofono di Jan Garbarek (qui un esempio) vi renderete conto di quanto questa emotività, anche in uno strumento, possa essere portata a dei livelli impressionanti e quasi insostenibili per un lungo ascolto.
Damien Rice in alcuni brani ha un canto delicato (Trusty and true – sentitevi anche questa versione in concerto con un coro che appare alla fine del brano – o The greatest bastard per esempio), oppure sforzato ma non pieno (My favourite faded fantasy o Long long way per esempio dove il timbro della sua voce è veramente particolare, quasi irriconoscibile).
Gli arrangiamenti delle canzoni sono fatti molto bene. Gli archi, per esempio, a volte danno forma a situazioni da quartetto o da orchestra sinfonica, senza però sfociare in un classicismo scopiazzato e cafone, anzi con qualche bellissimo accenno alla tradizione irlandese (Trusty and true).
Poca batteria, giusto nei momenti più forti (It takes a lot to know a woman). Molta, molta chitarra acustica, un po’ di pianoforte che disegna delle linee e melodie che si sposano benissimo con le chitarre e con gli archi, qualche organo e fisarmonica. Quasi impercettibili.
La dinamica dei brani mi ha colpito molto. Spesso nella musica leggera siamo abituati a organizzare la dinamica in una forma che sale, porta ad un climax e poi ridiscende e conclude il brano. Nei brani di Rice ci sono spesso diversi climax in una canzone senza che questo faccia sembrare la canzone ridondante.
Vi ho lasciato qualche link in alto. Vi consiglio anche di ascoltarvi i suoi brani dal vivo, anche solo chitarra e voce, sono qualcosa di veramente speciale, oppure, ancora meglio, vi consiglio di andarvelo proprio a vedere in un concerto. Quest’estate a giugno lo andrò ad ascoltare al festival Rock Werchter. Poi vi racconterò.
Alla prossima!