CAESAR’S PSYCHOMACHINE
INTERVISTA
(Autoprodotto)
Voto: 6 e mezzo
Per la serie: giovani italiani alla riscossa. La PsychoMachine di Caesar, contrariamente al nome che potrebbe far presagire un ensemble infinito di musicisti, enumera appena un giovanissimo musicista di nome Cesare Lopopolo. Diciassettenne, polistrumentista e già al suo terzo album autoprodotto, in questo lavoro mescola una gran bella dose di idee in un campo impervio come un Alt-rock per nulla banale e messo a bagnomaria nella sperimentazione elettronica e nella psichedelia. Il tutto, senza disdegnare di tanto in tanto di immettere nei pezzi soluzioni “pop” senza farle mai sembrare forzate o “facili”.
E all’autore bisogna riconoscere fin dalle prime battute, oltre che una certa personalità, competenza musicale anche come ascoltatore, una buona padronanza tecnica, parecchia fantasia e, di conseguenza, tante belle idee. Le maggiori pecche stanno nell’autoproduzione (comunque notevole), che lascia spazio ad arrangiamenti troppo “paffuti” che appesantiscono un po’ alcune canzoni.
Cosa dovuta, suppongo, alla giovanile, comprensibile esuberanza che porta il nostro a strafare un poco in certe situazioni, come l’uso un po’ eccessivo e naif della voce effettata o certe sovrapposizioni di troppo nelle parti strumentali. Difetti che una maggiore supervisione, o produzione da terzi, se preferite, potrebbe facilmente smussare e senza peraltro inficiare la vena compositiva e, soprattutto, creativa dell’autore. Chiaro, chi cerca spensierate canzoncine da fischiettare, con questo album casca veramente male. Ma per chi va cercando qualcosa di diverso dal solito tuppe tuppe marescià in vigore per l’aere, tra rimandi, citazioni (poco Pinkfloydiana, l’intro di “Durée”?) e innata personalità, c’è davvero di che rifarsi le orecchie.