Il primo maggio di quest’anno ha riportato in Italia la follia devastatrice dei Black Bloc. I neri incappucciati che hanno devastato Milano, danneggiando, bruciando, imbrattando, un intero quartiere di Milano, ponendosi al riparo di una manifestazione contro Expo 2015. E tutti media hanno denunciato la limitata formazione teorica e la traballante capacità dialettica, quando non proprio l’insussistenza di ogni preparazione socio-politica dei neri incappucciati. Ma tutti contestualmente si sono affannati nel definirli “anarchici”.
Probabilmente il Bakunin delle microinsurreezioni, ma gli stessi bombaroli degli attentati contro lo Stato e i suoi servi, da Bresci a Malatesta, si rivolterebbero nella tomba a un accostamento quasi blasfemo. Non è questa la loro rivoluzione, probabilmente la storia ha decretato che la loro rivoluzione non avverrà mai, che l’utopia di un’altra Comune – simile a quella parigina del 1871, che comunque fu uno snodo nel pensiero occidentale per il suo valore ideale – è destinata a rimanere tale, che il benessere diffuso ha cancellato le sue istanze migliori a favore di un altrettanto diffuso egoismo.
Fino al prossimo 5 luglio nelle sale del Museo d’Arte di Mendrisio, cittadina svizzera a pochi chilometri dal confine comasco, nota per i megacentri commerciali, è allestita una mostra intelligente, documentata, che illustra l’anarchia e i suoi rapporti con l’arte, in un percorso puntuale e assai interessante. Addio Lugano Bella – Anarchia tra storia e arte, questo il titolo, offre un percorso facilmente comprensibile e soprattutto che fa aumentare progressivamente l’interesse dello spettatore dalla prima sala all’ultima all’interno di una realtà culturale e sociale importante per il continente europeo e insieme fortemente legata al territorio – il Canton Ticino – dove è proposta.
Territorio di tolleranza e di accoglienza, il Canton Ticino tra il 1869, quando vi arrivò Michail Bakunin, massimo teorico dell’anarchia, e il 1920, con la fine del primo, utopico periodo della comunità naturista del Monte Verità, ospitò le maggiori figure del movimento, compresi i transfughi dalla Comune parigina e i più in vista tra gli italiani, da Carlo Cafiero a Errico Malatesta.
“Dal privilegiato osservatorio ticinese”, scrive Soldini sul catalogo, “si getta uno sguardo che si apre a largo raggio verso l’Europa, su quei tumultuosi decenni di rivolgimenti sociali che inaugurarono l’epoca moderna.” In un intreccio non mediato di arte e storia, di libri e fotografie, di documenti e quadri, di lettere, litografie, disegni, giornali, il racconto del pensiero e del movimento libertario per eccellenza si svolge per grandi temi, che riescono a portare dal particolare all’universale, dalle innumeri frammentazioni allo specchio di un’epoca, dall’episodio alla visione.
Si parte con l’anarchia come simbolo cui si rivolgono con attenzione gli esponenti di tutto il magma di correnti artistiche di fine 800, gli aristocratici preraffaellismo e neogotico compresi. E si continua per altre 12 sezioni: dalla Comune parigina (il primo esempio di autogoverno nella storia: durò 70 giorni) al nuovo urbanesimo come contrasto tra il boom edilizio e la miseria che produsse nelle miniere, nelle campagne e negli stessi conglomerati cittadini, dagli esuli politici e i vagabondi senza soldi al lavoro come base della società (articolo uno della Costituzione italiana), dalla rivolta contro lo stato e la “triade del male” – giustizia, chiesa, esercito – alla conseguente e drammatica repressione, dalla satira (sezione approfondita a Lecco dalla bella mostra-corollario Disegno e dinamite, dedicata alle riviste che utilizzavano la forza comunicativa delle immagini per condannare il potere costituito in tutte le sue forme, antesignane di Charlie Hebdo) alla “utopia e armonia”, fondamenta della nuova società, di cui si sperimentò un tentativo nella colonia salutista Monte Verità, in una collina sopra Ascona, durante i primi due decenni del 900.
Tra il centinaio di opere esposte, che attraversano le mille correnti artistiche del tempo, dal verismo al dada, spiccano il rivoluzionario gatto nero del Gaudeamus di Steinlen, l’intenso ritratto di Proudhon di Courbet, l’insondabile Construction quai de Passy di Luce, la fanciulla Venduta e le mondine Per ottanta centesimi! di Morbelli, L’oratore dello sciopero di Longoni. E ancora il magnifico Lagrime di Mentessi, il Bagno penale a Portoferraio di Signorini, le xilografie ironiche di Vallotton, l’incisione cristica, drammatica e irridente, del Martedì Grasso 1889 di Ensor, la contadina di Pissarro e il giardiniere di Seurat.
Artisti tutti, per dirla con Paul Signac (autore di due manifesti dell’anarchismo come Au temps d’harmonie e Le Démolisseur, di cui è in mostra la versione litografica), “rivoluzionari per temperamento, che allontanandosi dai sentieri battuti dipingono quello che vedono” fra ricerca formale e impegno sociale, spesso nonostante la consapevolezza che, come scrisse Andres Schwab, “le utopie falliscono sempre: altrimenti non ne nascerebbero delle nuove”.

Alimentazione dottrinaria
1889