Arriva di Constantinos Kavafis (1863-1933) una nuova antologia, tradotta e curata dall’ottimo Nicola Crocetti (la rivista Poesia, la più importante e credo l’unica in Italia dedicata ai versi, la fa lui). Kavafis, il maggiore poeta greco del ‘900 e uno dei più rappresentativi del secolo breve con buona pace dei Seferis e degli Elitis, in Italia è stato già tradotto da Filippo Maria Pontani e da Nelo Risi e Margherita Dalmati. Tuttavia questa silloge è raccomandabile, meriti del traduttore a parte, perché propone il “canone” di Kavafis nella sua integralità: le 154 poesie scelte e “accettate” dall’autore (c’è anche una buona scelta di Poesie nascoste e di Poesie rifiutate).
Greco di Alessandria d’Egitto, ultimo di nove figli di un mercante costantinopolitano le cui fortune evaporarono, Kavafis trascorse la prima giovinezza a Londra. In seguito, a parte brevi soggiorni a Parigi, Costantinopoli e Atene, non si allontanò mai dalla sua città. Uomo coltissimo e lettore instancabile dei classici greci e bizantini, non fu però un letterato di professione. Dopo un esordio come broker, lavorò come impiegato all’ufficio irrigazione del ministero dei lavori pubblici: l’Egitto era allora colonia britannica. Apparentandosi così a un altro grande del ‘900, l’impiegato Pessoa che traduceva lettere per una ditta di import-export (ma formazione assai poco accademica ebbero anche molti dei nostri maggiori: Montale era ragioniere, Quasimodo geometra). Una vita priva di eventi, la sua, riassumibile nell’opera. Che venne pubblicata postuma: Kavafis stampava le sue poesie una per una e le distribuiva a pochi amici; per creare le sue raccolte, le spillava in ordine cronologico.
Poco amato in patria agli inizi e diventato in seguito un monumento (alla sua fama contribuirono soprattutto gli inglesi: Forster, Bowra, Auden), Kavafis adopera, cito Crocetti, «un amalgama di lingua colta e popolare, che conferisce al suo lessico la levigatezza e le screziature del marmo». E costruisce, verso dopo verso, una sorta di “Iliade rovesciata” (la felice definizione è del suo traduttore francese Dominique Grandmont), anche una sorta di Spoon River aggiungerei, dell’ecumene greca: i dimenticati e i vinti, gli eroi in ombra dalla madrepatria alle colonie, passando per l’Egitto e la Giudea ellenizzata, facendo scalo tra i fenici e in Persia, trascorrendo sulle sponde del mar Nero e negli effimeri regni successivi ad Alessandro Magno, risalendo le genealogie degli imperatori e dei cortigiani di Bisanzio.
“Poeta storico”, come si definiva, di forte e asciutta venatura etica, consapevole del trascorrere del tempo e della vanità del potere, orgoglioso dello straordinario e sommerso lascito greco. E poeta di amori furtivi (“illeciti”, sono ancora parole sue), in un canzoniere omoerotico di nostalgica e trepidante bellezza.
Alcune poesie di Kavafis sono molto note (la straordinaria Aspettando i barbari, che si può trovare anche in rete e la cui lettura consiglio; la profetica e spiazzante “In una grande colonia greca, 200 a.C.”, che pare un presagio di nostri governi recenti). Io qui ne scelgo due che, mi sembra, lo rappresentano in maniera adeguata.
Termopili
Onore a quanti nella loro vita
si fecero custodi delle Termopili,
senza mai venir meno a quel dovere.
Integri e giusti nelle loro azioni,
ma sempre con pena e compassione;
generosi se ricchi, e generosi
sia pur con poco se indigenti,
soccorrevoli quando possono;
pronunciando sempre la verità,
ma senza detestare i mentitori.
E sono degni di più grande onore
se prevedono (e molti lo prevedono)
che all’ultimo comparità un Efialte
e comunque i Persiani passeranno.
Efialte era il traditore che nel 480 a.C. consegnò gli eroici spartani comandati da Leonida ai persiani di Serse.
Itaca
Se ti metti in viaggio per Itaca
augurati che sia lunga la via,
piena di conoscenze e d’avventure.
Non temere Lestrigoni e Ciclopi
o Posidone incollerito:
nulla di questo troverai per via
se tieni alto il pensiero, se un’emozione
eletta ti tocca l’anima e il corpo.
Non incontrerai Lestrigoni e Ciclopi,
e neppure il feroce Posidone,
se non li porti dentro, in cuore,
se non è il cuore a alzarteli davanti.
Augurati che sia lunga la via.
Che siano molte le mattine estive
in cui felice e con soddisfazione
entri in porti mai visti prima;
fa’ scalo negli empori dei Fenici
e acquista belle mercanzie,
coralli e madreperle, ebani e ambre,
e ogni sorta d’aromi voluttiosi,
quanti più aromi voluttuosi puoi;
e va’ in molte città d’Egitto,
a imparare, imparare dai sapienti.
Tienila sempre in mente, Itaca.
La tua meta è approdare là.
Ma non far fretta al tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni;
e che ormai vecchio attracchi all’isola,
ricco di ciò che guadagnasti per la via,
senza aspettarti da Itaca ricchezze.
Itaca ti ha donato il bel viaggio.
Non saresti partito senza lei.
Nulla di più ha da darti.
E se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso.
Sei diventato così esperto e saggio,
e avrai capito che vuol dire Itaca.