Van Halen live al Tokyo Dome: muscolari e divertenti

Questa volta Maurizio Solieri recensisce un doppio album dal vivo registrato dai Van Halen al Tokyo Dome: una scaletta fantastica per uno show davvero divertente

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Van Halen
Tokyo Dome Live in Concert
Warner Bros.


In una notte piovosa nei primi mesi del 1977, pochi clienti si muovevano all’interno dello Starwood Club, Santa Monica blvd., West Hollywood, Los Angeles, California. Si potevano contare sulle dita di una mano, il tempo inclemente non favoriva certo la voglia di uscire.
Però, quella sera, tra il non certo folto pubblico, si aggiravano Mo Ostin, presidente della Warner Bros. Records e Ted Templeman, produttore della stessa etichetta. Non erano lì per degustare svariati drinks e chiacchierare del più e del meno, ma per vedere dal vivo quella che sembrava essere the next big thing del momento, una sconosciuta band di Pasadena che portava il cognome dei due fratelli Edward e Alex, arrivati bimbi in California dalla piovosa Olanda: Van Halen. Dopo, niente sarebbe stato più lo stesso.
Eddie, il chitarrista–icona della band, già alla fine degli anni ’70 ridisegnò le regole della chitarra elettrica, tracciando un vero spartiacque tra il prima e il dopo. Prima c’erano Ritchie Blackmore, Jeff Beck, Jimmy Page, Jimi Hendrix ed Eric Clapton, poi solo lui.van_halen_tokyo
Eddie Van Halen tracciò la strada maestra del virtuosismo chitarristico, perfezionando la tecnica del tapping a due mani, irrobustendo i suoni degli ampli Marshall con customizzazioni spericolate, trasformando le sue chitarre in vere e proprie Frankenstein: un manico di qui, un corpo di qua, riavvolgendo le spire dei pick up, dotando i suoi strumenti del nuovissimo ponte Floyd Rose, vero toccasana per legioni di chitarristi che finalmente potevano strapazzare il whammy bar (leva del vibrato) della loro chitarra senza timore di scordature inopportune. E potremmo stare qui a riempire pagine e pagine e lo spazio non sarebbe mai abbastanza.
vanhalentourTutta questa introduzione per presentarvi l’ultima fatica dei grandiosi Van Halen, che licenziano questo doppio album dal vivo registrato allo storico Tokyo Dome dell’omonima città del Giappone. Primo live con il cantante originale della formazione, David Lee Roth detto Diamond Dave, che dal 2006 ha ripreso il suo posto di frontman, anche se (come sembra) stipendiato dalla Van Halen family.
Eddie e Alex già si erano fatti il vuoto intorno silurando anni fa lo storico bassista Michael Anthony, storico membro della formazione, preferendogli Wolfgang, amato figlio e nipote, corretto nel suo ruolo di bassista ma, venendo dalla chitarra, non in grado di supportare sufficientemente il muro del suono creato da papà e zietto.
Dicevo, è il primo live pubblicato da questa formazione (nel 1993 era uscito il doppio Right here, right now con Sammy Hagar, preceduto dall’home video del 1986 Live without a net), presentato con grande orgoglio come completamemte originale nelle registrazioni, non corretto in studio come la gran parte delle pubblicazioni dal vivo.
E non c’è niente da fare: Eddie, che negli anni ha attraversato una montagna di problemi tra alcolismo, divorzi, un tumore alla lingua e la sostituzione delle anche, rimane sempre quel grande musicista che è, fresco come negli anni ’70, con un suono da far tremare i grattacieli, una perfezione di esecuzione impagabile e una facilità nell’inanellare riff e soli da fare invidia. L’ultimo prodotto in studio del 2012, A different kind of truth, uscito dopo anni di stand-by, è stato un fulmine a ciel sereno, grandi pezzi e un suono granitico che tutti gli appassionati aspettavano con ansia.
Dall’opener, Unchained, è tutta un’esplosione di fuochi artificiali rock: Runnin’ with the devil, Tattoo, Somebody get me a doctor, Oh, pretty woman (con il classico solo di batteria di Alex, in salsa Latin rock!), You really got me, And the cradle will rock, Hot for teacher, Panama, Ice cream man, Ain’t talkin’ but love, Jump!
Tutto il circo dei Van Halen storici con Lee Roth viene sciorinato con grande dinamismo e divertimento, e non mancano certo gli spot chitarristici di Eddie: Mean streets, Eruption, Cathedral, da cui milioni di chitarristi hanno attinto a piene mani, cercando di imitare uno stile e un suono inimitabili.
David Lee Roth ha abbassato la cresta, ha perso la sua criniera platinata, ha perso il sex appeal che faceva sognare  milioni di pupe, non indossa più gli aderentissimi spandex sostituiti da jeans da lavoro con le bretelle e sul capo non mette più cappelli da cow boy ma coppole di tweed da minatore. Dimenticatevi le spaccate in aria e, anche quando agita furiosamente l’asta del microfono, il più delle volte gli atterra sul naso, ma rimane comunque un gran personaggio, più clown e più furbescamente bluesman. Lo show è muscolare e divertentissimo, anche se i sorrisi che Dave ed Eddie si scambiano sono di maniera. La scaletta è fantastica e assolutamente non prevede brani del periodo Van Hagar (quando alla voce c’era Sammy, ma comunque forse è stato il periodo di più grande successo commerciale). E, in tutto questo splendore, il buon Red Rocker se la gode al sole del Messico, ricco e felice, tra i suoi Chickenfoot e i milioni di dollari che ha ricavato dalla vendita a una multinazionale della sua Cabo Wabo tequila! E, sparlando con un ghigno ironico dei suoi vecchi compari, alza il calice in un rockissimo brindisi!!!

Maurizio Solieri (Concordia sulla Secchia, Modena, 1953) è uno dei migliori chitarristi italiani. Per oltre trent’anni è stato al fianco di Vasco Rossi, ma ha collaborato come musicista, autore, produttore, compositore anche con altri artisti, fra cui Skin, Dolcenera e le Custodie Cautelari. Nel 2010 ha pubblicato Volume 1, il primo album a suo nome; e nel 2014 è uscito Non si muore mai come SolieriGang. Ha anche scritto un’autobiografia pubblicata dalla Rizzoli, Questa sera rock’n’roll.

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