Titolo: Creation (ECM)
Voto: 8
Titolo: Barber/Bartók/Jarrett (ECM)
Voto: 7
Se fosse giapponese gli sarebbe già stato attribuito il titolo di “Tesoro Nazionale Vivente”. Negli States e in Occidente invece bisogna passare a miglior vita per essere considerati in tutto e per tutto delle persone determinanti per la vita culturale del proprio Paese. Keith Jarrett, il maggiore pianista jazz in attività, ha festeggiato da pochi giorni il suo settantesimo compleanno e per l’occasione si è regalato la pubblicazione di due nuovi album – Creation di improvvisazioni dal vivo e Barber/Bartók/Jarrett di musica contemporanea – a dimostrazione del riconosciuto, unico, talento di improvvisatore in solitario e insieme dell’abilità nel rileggere con rigorosa ed essenziale adesione importanti pagine di classica, da Mozart a Barber.
Cresciuto alla corte del “divino” Miles Davis e poi celebrato realizzatore di capolavori jazzistici al solo pianoforte (Facing You, Köln Concert, lo stesso La Scala registrato nel tempio milanese della lirica, per citarne alcuni) e con lo Standard Trio (Peacock/DeJohnette), con il Quartetto americano (Redman/Haden/Motian) e quello scandinavo (Garbarek/Danielssn/Christensen), Jarrett raccoglie in Creation una manciata di brani registrati lo scorso anno in giro per il mondo, da Tokyo a Roma, da Parigi a Toronto. Ormai stanco, e stancato, dalle performance-fiume pre-anni 90, il pianista nato il giorno della vittoria statunitense nella Seconda Guerra Mondiale si ritrova qui a costruirne un’altra, fatta però a puzzle, mettendo insieme nove frammenti (tutti i brani sono intitolati “Part” e vanno da I a IX) in una sequenza senza soluzione di continuità, in cui la musica scaturisce da una mentalità, da un feeling, da una costruzione unitarie.
Ascoltiamo così 73 minuti che diventano un fluido reading poetico in musica, improvvisato con romantica cantabilità, in gran parte meditabondo, con accordi e melodie sparse, lontano dal virtuosismo (ma che un non virtuoso non potrebbe mai neppure immaginare) e con dinamiche estreme. Creation è la dimostrazione che il miglior Jarrett non è ancora stato definitivamente archiviato e che i suoi solo concert – quando non tormentati dalle bizze e dagli atteggiamenti da primadonna – sono ancora tra i più emozionanti, e feroci, intensi, vitali, di tutto il panorama jazz attuale.
Si intitola invece Barber/Bartók/Jarrett l’album di musica classica contemporanea, dal nome dei compositori delle tre partiture proposte, anche se “Tokyo Encore-Nothing But A Dream” del Nostro è una breve improvvisazione suonata come bis al concerto bartokiano con cui non è in rapporto. Le due storiche esecuzioni dal vivo del cd sono datate rispettivamente 1984 e l’anno successivo, e sono le uniche ascoltabili di Jarrett poiché il pianista ebbe, poco tempo dopo, un incidente sciitisco che gli ridusse l’abilità manuale indispensabile per questi concerti per pianoforte e orchestra (e per quello per piano e legni di Stravinsky, che proponeva nello stesso periodo).
L’elegiaco concerto dell’americano (eseguito in prima assoluta nel ‘62) e quello neo-classico dell’ungherese (datato 1945) vedono il “genio di Allentown”, come spesso viene definito Keith con riferimento alla cittadina industriale dove è nato, ingaggiare un duello infinito con le orchestre dirette da Dennis Russell Davies e Kazuyoshi Akiyama, per districarsi lungo le intensità melodiche barberiane e oltre gli steccati abbattuti da Bartók. Con il piglio di chi sa che “la musica non è solo piena di emozioni e di colori, non è nemmeno una forma di meditazione, è ferocia, intensità, vitalità. Queste tre cose.”