Amy. Cantare a morte

Vita di Amy Winehouse, interrotta

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Amy
di Asif Kapadia
Voto: Struggente

Questo è il punto di vista di uno spettatore, non di un ascoltatore. Nel documentario di Asif Kapadia (premio al Sundance per una bio di Senna), che ricostruisce la vita e la morte di Amy Winehouse, ho visto la ragazza della porta accanto, quella di famiglia un po’ così, scalcagnata e allegramente malvestita, inseguire il jazz e il blues alla faccia delle mode, tirare fuori una voce pazzesca e farsi tanto, tanto male. Ho visto gente starle dietro per amore (forse) e per soldi e aiutarla a spingersi sempre un po’ più in là: ufficialmente perché poteva spingere la sua voce chissà dove, in realtà sperando che non spingesse troppo anche il fumo, l’alcol e le sostanze, ma che spingesse. E poi, quando è stato chiaro che le due cose erano parallele, ho visto queste persone  sperare che Amy continuasse a macinare concerti e fare soldi senza mai andare oltre il limite, anche quando, a me spettatore di filmati casalinghi (non di ricostruzioni ad hoc), il limite sembrava passato da molto. Non vorrei dire che anche se l’ultima bottiglia o l’ultima dose se l’è fatta lei, gliel’hanno messa a disposizione gli altri, ma in fondo sì, sembra così: è vero che da qualsiasi documento puoi manipolare una morale, ma francamente la vicenda di Amy anche se sembra la solita cosa più forte di tutti noi, che nessuno riesce a fermare, a costo di sembrare moralista direi che molti in questa storia per i più svariati motivi hanno perso di vista i limiti perché in fondo era comodo così. E poi, lo devo ammettere anch’io, fulminato nella mia ignoranza del jazz e del blues: cantava bene. Peccato dover usare i tempi al passato.

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