Videoclip, artisti e video arte

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In un precedente articolo (Surfin’ with the zombies) si era parlato della contaminazione tra video arte e videoclip, cosa che mi ha incuriosito e spinto ad approfondire l’argomento e i protagonisti di questa interazione, per cercare di capire quanto questo connubio abbia prodotto.
Non mi interessa fare una classifica dei videoclip più belli o spettacolari, ma piuttosto capire quanto la videoarte e i gli artisti tout court – compresi quelli che non si sono mai dedicati ai videoclip, – abbiano influenzato questa forma di comunicazione o, più precisamente, di promozione.
Quindi non parlerò di quei video in cui quattro disperate si limitano a sbatterci in faccia le loro chiappe, chiappette o chiappone, o quelli in cui sesso e violenza hanno ben poco da aggiungere a canzoni già di per sé insulse, – fenomeno già previsto da Andy Warhol nel video Hello Again dei Cars (1983) – ma di quelli che hanno influenzato i costumi e che, invece di scimmiottare il grande schermo, si sono avvalsi di idee e regie spesso eccellenti. Quelli che hanno usato l’arte, l’hanno influenzata o se ne sono fatti influenzare.
A una storia ben raccontata secondo i canoni cinematografici, preferisco la suggestione delle immagini, l’originalità, l’innovazione, il lato disturbante, la provocazione, la voglia di comunicare qualcosa di diverso, di sperimentare ciò che il cinema non permette più.
Se prima era il videoclip che si ispirava al fratello maggiore, ora che ha raggiunto la maturità e forse si sta avviando verso un declino di banalità e conformismo, ha avuto però la forza di contaminare la settima arte attraverso l’uso di linguaggi nuovi e dinamici.
Quindi non sarà una classifica, ma una scelta di ciò che mi è piaciuto di più in termini di contaminazione fra generi, una scusa per parlare ancora una volta di artisti poliedrici che hanno saputo esprimere la loro creatività su ogni tipo di media, e anche per raccontare qualche curiosità che magari non tutti conoscono.

Doug Aitken è un videoartista californiano che ha esordito come regista di videoclip e che pone al centro della sua ricerca – attraverso l’uso di video, fotografia, suoni e musica – nuove forme di narrazione, spesso frammentate, come a restituire la percezione umana del tempo e il suo scorrere. Leone d’Oro 1999 alla Biennale di Venezia.
Di Doug Aitken meritano di essere visti il videoclip Every Generation Gots Its Own Desease dei Fury in the Slaughtherhouse, 1994, gruppo tedesco che, fortunatamente, non ha lasciato molte tracce. Un video fatto di immagini analogiche stile Hipstagram, ma quindici anni prima, in cui la storia, peraltro banalotta, lascia il posto a suggestioni visive che a tratti ricordano i filmini delle vacanze in super8, ma con una certa poesia.

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YouTube / DevlinPix – via Iframely

Un percorso che migliora notevolmente nel 2002, con NYC degli Interpol, in cui il linguaggio è più maturo e notturno, fatto di solarizzazioni estreme, infrarossi, uso del colore piatto e del negativo, con una maggiore simbiosi tra musica e video.

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YouTube / Sam Muir – via Iframely

Ultima opera scelta per Doug Aitken è Impermanent di WL, del 2012, in cui l’artista torna all’analogico, ai colori saturi, inframezzati da spezzoni tratti dal primo video dei Fury, per arrivare a quello che in fondo, per quanto suggestivo, pare un puro esercizio di stile.

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YouTube / TheTearist – via Iframely

Chris Cunningham è la dimostrazione di quanto la vita proceda spesso a rovescio. Dopo essere stato contattato da Stanley Kubrick nel 1995 per lavorare al progetto Intelligenza Artificiale, che però vedrà la luce solo molti anni dopo per mano di Steven Spielberg, si dedica alla regia di videoclip e, nel giro di appena due anni giunge alla notorietà con il video degli Aphex Twin Come to Daddy. Nel 1999 vince il premio come miglior regista di videoclip al Music Week CAD Awards. E negli stessi anni decide di dedicarsi anche alla video arte, realizzando videoinstallazioni che verranno esposte nelle maggiori istituzioni inglesi, fino ad arrivare nel 2001 alla Biennale di Venezia (come Doug Aitken). Da segnalare anche Rubber Johnny del 2005, realizzato appositamente per l’home video, che rappresenta una sorta di ibrido fra videoclip e videoarte.
Di lui ho scelto Second Bad Vilbel di Autechre, 1995, un delirio electro techno in cui, in un montaggio velocissimo, appare una figura aliena e inquietante, e macchine che sembrano insetti, in un’orgia di dropout analogici, rumore bianco e fermo immagine che sembrano false foto di oggetti volanti non identificati.

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YouTube / The Windowlicker – via Iframely

Un’ossessione – quella per le macchine – che Cunningham ripropone quattro anni dopo nel bellissimo All is Full of Love di Björk – di cui parleremo ancora più avanti – nel quale due candidi robot di aspetto femminile si toccano e si baciano in una delle sequenze più tenere che mai macchine abbiano “recitato”. Mi vengono in mente i sexy robot degli anni ‘80 dell’illustratore Hajime Sorayama e un futuro in cui dovremo fare i conti – volenti o nolenti – con la singolarità tecnologica delle macchine.

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YouTube / BjorkTv – via Iframely

Concluderei con Come to Daddy di Aphex Twin, un incubo metropolitano in cui un gruppo di bambini capeggiato da due gemelle – Shining? – (tutti con le sembianze di Richard David James, aka Aphex Twin) vengono inseguiti e manovrati da una bocca mostruosa, in un climax di violenza fagocitata dall’incarnazione del male che esce dalla TV – ricordate Videodrome di David Cronemberg? – per urlare tutto l’orrore del disagio metropolitano.

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YouTube / The Windowlicker – via Iframely

Floria Sigismondi è figlia di due cantanti d’opera originari di Pescara, a riprova che anche il sangue italiano è capace di grandi cose nel campo dei videoclip.
Trasferitasi in Canada all’età di due anni, Floria ha esposto sculture, installazioni e fotografie a Toronto, New York e Londra, ma è conosciuta principalmente per la sua attività legata ai videoclip. Lo stile è molto personale e riconoscibile, con immagini ricorrenti di freaks, insetti e serpenti. Dice di ispirarsi a David Lynch e Francis Bacon. La sua produzione è davvero corposa ma, dovendo scegliere, non posso fare a meno di citare il video di Marilyn Manson The Beautiful People, 1996.
Lo ammetto, Marilyn Manson non mi piace, né come musicista, né come persona, ma il video ha una forza tale che ci troviamo di fronte – credo – a un caso in cui le immagini sono ampiamente superiori rispetto alla colonna sonora.

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YouTube / MarilynMansonVEVO – via Iframely

Del 2003 è il video Untitled #1 dei Sigur Rós che ci riporta verso un’infanzia repressiva e complice, un mondo nel quale adulti e bambini non possono e non riescono a comunicare, in un’esterno postapocalittico in cui si gioca con la cenere della ricaduta radioattiva, e i bambini sono vittime di un’ottusità adulta incapace di comprendere i veri valori della vita.
Di una bellezza struggente, merito questa volta anche della musica dei Sigur Rós.

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YouTube / Sigur Rós – via Iframely

Concludo con The Next Day di David Bowie, 2013.  Un vero e proprio cortometraggio di durissima critica verso la chiesa e il conformismo, girato in puro stile visionario. Da vedere insieme a The Stars (Are Out Tonight) sempre di David Bowie e con la partecipazione di Tilda Swinton. Quasi 6 minuti di colori vividi, immagini accelerate e la modella norvegese Iselin Steiro che impersona un giovane e diafano Bowie.

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YouTube / DavidBowieVEVO – via Iframely

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YouTube / DavidBowieVEVO – via Iframely

David Lynch ha un lungo rapporto con la musica e i videoclip fin dal lontano 1982 quando girò il video I Predict degli Sparks. Quasi una prova generale delle atmosfere alla Twin Peaks, che arriverà solo nel 1990. Peccato per la musica che è quel che è.

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YouTube / wonderfool1234 – via Iframely

Shot in the Back of the Head di Moby è stato girato invece nel 2009 ed è interamente composto da disegni in bianco e nero.

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YouTube / Moby – via Iframely

Crazy Clown Time, 2012, è un video girato per se stesso, in occasione dell’uscita del suo primo omonimo album in studio. D’accordo, forse il brano non è il massimo (forse), ma il video vale la pena, perché Lynch è sempre Lynch, un artista in tutti i sensi, ne abbiamo già parlato qui.
Sette minuti di delirio totale in cui si ritrovano i temi, gli incubi e le pazzie – in senso artistico – del regista. Velluto Blu, Twin Peaks, la meditazione trascendentale, Laura Palmer, Barbie ingrassata e ubriaca, la sottile follia delle feste consumate nel backyard delle tranquille villette della suburbia americana. Finalmente qualcosa di veramente disturbante e alienato.

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YouTube / DAVIDLYNCHSUNDAYBEST – via Iframely

Per completare la rassegna, anche se non si tratta di video musicali, bisogna assolutamente vedere Quinoa, venti minuti di video tenebroso e inquietante, nel quale lo stesso Lynch ci mostra come cucina la Quinoa.

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YouTube / D. Thomas – via Iframely

Oppure quell’altro video, in cui promuove il suo caffè organico parlando con la testa di una Barbie stretta nella mano, come un vero serial killer. Non videoclip, ma videoarte sicuramente.

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YouTube / termouv – via Iframely

Citiamo anche Came Back Haunted dei Nine Inch Nails, 2013, un piacere per gli occhi, sempreché non siate soggetti ad attacchi di epilessia, come viene specificato all’inizio del video.

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YouTube / NineInchNailsVEVO – via Iframely

Andrea Giacobbe. Fotografo e regista italiano ma che vive a Parigi. Ha ritratto molti personaggi della musica, da Björk a Marilyn Manson.
Lo cito per un unico video dei Garbage, Push It del 1998. Niente di eccezionale, un viaggio assurdo, un collage di mescolanze tra René Magritte (l’uomo con la lampadina al posto della testa) Twilight Zone, Il Villaggio dei Dannati (i bambini biondi), un po’ di sano feticismo e addirittura una vecchia cinquecento. Ipnotica la musica, piacevole il video.

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YouTube / GarbageVEVO – via Iframely

Andy Warhol è un artista che tutti conoscono, ma che pochi hanno capito veramente, inutile quindi stare a spiegare una mente così attenta e sensibile ai mutamenti delle società metropolitane. Basti sapere che la sua poliedricità lo ha portato a spaziare nelle infinite possibilità che la tecnologia offre. Tanti citano a sproposito, spesso senza nemmeno averli visti, i cortometraggi girati in 16mm negli anni ‘60, ma pochi ricordano che, oltre ad apparire in alcuni videoclip – ne parliamo più avanti – lui stesso ne girò uno insieme a Don Munroe per The Cars nel 1984. Si tratta di Hello Again. Video incentrato sulla rappresentazione della sessualità e della violenza nei mezzi di comunicazione in cui, uno stralunato Andy Warhol, barista improbabile, accenna con un labiale: “hello, hello”. Nella TV accesa scorrono spezzoni del suo corto Kiss (1963). Nel video compaiono Dianne Brill, ex attrice ora produttrice di cosmetici, l’attrice Gina Gershon (Face/Off e la serie Tv Glee) e, con il serpente, John Sex, ex gay stripper convertitosi artista performer. Le acconciature dei Cars sono già arte nella videoarte.

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YouTube / RHINO – via Iframely

Grace Jones è una donna versatile e creativa, amica di artisti e regina della disco music degli anni ‘70. Tanto versatile da dirigere lei stessa il videoclip del suo pezzo I’m Not Perfect.. But I’m Perfect For You, 1986. Un video imperdibile che ci riporta alle sue esibizioni alla discoteca Paradise Garage di New York.
Il pezzo non è fenomenale, ma ciò che conta veramente sono le presenze di Andy Warhol (ancora lui!) che dice: “Grace is perfect”, una vera e propria performance di Keith Haring che dipinge l’enorme gonna che indosserà Grace Jones e, dulcis in fundo, Timothy Leary – il paladino delle droghe psichedeliche – nelle vesti di un severo psicologo.

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YouTube / József Csáth – via Iframely

Tanto per restare intorno agli anni ‘80 e artisti che, purtroppo, hanno lasciato vuoti enormi, ecco il video Rapture 1981, di Blondie  – di cui abbiamo parlato come fotografa qui.
Anche in questo caso ci importa poco del regista (Keith MacMillan) e anche del pezzo, abbastanza insipido e con timidi accenni rap. Ciò che conta è la presenza fortuita di Jean-Michel Basquiat, e George Lee Quiñones che, insieme a Keith Haring e grazie a Andy Warhol, furono gli artisti che sdoganarono il movimento dei graffitari newyorkesi verso la fine degli anni ‘70.

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YouTube / emimusic – via Iframely

Ultima curiosità su Debbie Harry alias Blondie, è il videoclip di Backfired 1981, con le scenografie e la regia di H.R. Giger, l’artista svizzero creatore delle scenografie organiche e, insieme a Carlo Rambaldi, del mostro di Alien (1979). Visto oggi è poco più che un gioco un po’ infantile, con Debbie, travestita da regina di una tarda disco-music, impacciata e rigida come un baccalà. Tranquillamente dimenticabile.

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YouTube / Ron Flaviano – via Iframely

Michel Gondry, insieme a Chris Cunningham, Spike Jonze e Mark Romanek – senza dimenticare Floria Sigismondi che però viaggia su binari molto più personali – sono unanimenete definiti come i guru del videoclip moderno. Lasciamo perdere che già la parola guru m’infastidisce non poco e mi fa pensare più che altro a mode e tendenze che lasciano il tempo che trovano. Per esempio, David Lachapelle, – sua la regia del video di Elton John This Train Don’t Stop There Anymore del 2002 – così infinitamente amato da moda e pubblicità, è diventato un logo, un brand che, al di là del reale valore di ciò che produce, risulta sterile nell’infinita ripetitività di temi e atmosfere.
Tutta questa serie di registi sono senz’altro degli ottimi comunicatori e, a volte, riescono a produrre materiale di un certo valore artistico. Nel caso di Michel Gondry citerei Around the World dei Daft Punk, 1997, un video dai sapori alla Fritz Lang di Metropolis, giocato sul colore e i movimenti sincopati. Ipnotico.

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YouTube / Jordan Fuentes Tapia – via Iframely

Diverso il linguaggio per Sugar Water di Cibo Matto, 1996, gruppo formato dalle giapponesi Yuka Honda e Miho Hatori. Lo schermo è diviso in due parti, ognuna delle quali mostra le protagoniste, una che si muove normalmente in avanti e l’altra in rewind. Fino al momento in cui le vite delle due si incroceranno e si invertiranno. Quella che procedeva in rewind passerà al riquadro in cui lo scorrere del tempo segue un flusso normale e viceversa. Geniale.

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YouTube / Warner Bros. Records – via Iframely

Ultimo video che ho scelto per Michel Gondry è Fell in Love With a Girl dei White Stripes, 2002. Sarà per una passione mai sopita per i mattoncini Lego, ma vederli animarsi così, sulle note della chitarra di Jack White, non mi può lasciare indifferente.

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YouTube / whitestripes – via Iframely

Dai mattoncini Lego ai dadi (quelli da gioco) il passo è breve. il video è Ankle Injuries, 2006, di Fujiya & Miyagi, duo inglese che ha mutuato il nome da un personaggio di Karate Kid, fortemente influenzati – a quanto dicono – dal Krautrock dei gruppi tedeschi Can e Neu!
La direzione del video è di Wade Shotter, background da illustratore, art director e copywriter, ora convertito alla regia. Girato utilizzando esclusivamente dadi di colore diverso – quasi fossero pixel di uno schermo a bassa risoluzione – animati utilizzando diverse frequenze pellicola all’interno dello stesso fotogramma, in modo da avere diversi ritmi nella stessa struttura. A vederlo la prima volta sembra una stupidata, ma più lo riguardo e più mi ritrovo coinvolto in un gioco perverso simile ai chiodini colorati da infilare in un telaio forato che vendeva (e ancora vende) la Quercetti.
Elementare, ma geniale, come quasi tutte le cose migliori.

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YouTube / groenlandrecords – via Iframely

Sempre di Wade Shotter, citerei anche il video Integral, dei Pet Shop Boys, 2007, in cui un QR Code (i codici a barre a matrice quadrata) prende vita e crea immagini formate da pixel grossolani in bianco e nero. Gold Cyber Lion al Festival di Cannes 2008.

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YouTube / emimusic – via Iframely

Di Arnie & Kinski, duo di registi islandesi che lavorano in simbiosi con i Sigur Rós da anni, voglio citare il video Gobbledigook, 2008, un’apoteosi del naturismo e della vita libera, tribale, in una natura incontaminata, col cuore che batte all’unisono insieme al nostro. Una specie di Paradiso Perduto alla John Milton o Walden vita nei boschi di Henry G. Thoreau. Quasi un Vacanze all’Isola dei Gabbiani – la serie tv svedese del 1972 – ideata da Astrid Lindgren (quella di Pippi Calzelunghe) ma per adulti.

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YouTube / Leonard K – via Iframely

E dalla natura selvaggia e incontaminata, mi sembra giusto passare all’alienazione di ciò che, nel 1978, rappresentava il mondo moderno secondo i Kraftwerk: The Robots. Girato da loro stessi, preferirono muoversi lentamente invece di usare la slow motion tecnica che non soddisfava pienamente ciò che avevano immaginato. Frutto anche della collaborazione del pittore Emil Schult, assunto dal gruppo nel 1973. Bauhaus e razionalismo sovietico a iosa. Video semplice ma efficace da parte del gruppo tedesco che ha inventato la musica elettronica.

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YouTube / ApriliaRS125 – via Iframely

A questo punto inserire il video di Herbie Hancock, Rock It, 1983, è naturale se non doveroso. Qui siamo oltre i Kraftwerk, non più esseri umani come robots, ma robots tout court (opera di Jim Whiting) che si agitano in preda a convulsioni elettrico-epilettiche nella regia di Godley & Creme (ex 10cc). La sterile imitazione da parte delle macchine della routine familiare. Casa, lavoro, pulizie, televisione, sesso. Le citazioni sono molte: la macchina per far mangiare gli operai senza che smettano di lavorare di Tempi Moderni (1936), una ruota di bicicletta alla Duchamp, una testa con parrucca giallo canarino terribilmente simile David Bowie… Videoarte, installazione, performing art.
Vincitore di cinque MTV Video Music Awards nel 1984, è anche il primo singolo ad utilizzare la tecnica dello scratching.

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YouTube / HerbieHancockVEVO – via Iframely

Baillie Walsh – forse più noto come regista del film Flashbacks of a Fool, 2008, con Daniel Craig – ha diretto i Massive Attack – gruppo attentissimo all’aspetto visivo – nel video Unfinished Simphaty, 1990. L’idea è mutuata da un’opera della videoartista Pipilotti Rist, Ever is Over All nel quale la videoartista svizzera, passeggiando sorridente, distrugge i vetri delle auto in sosta con un tulipano.
Nel video dei Massive Attack – che è un unico piano sequenza come Nodo alla gola di Hitchcock – la vocalist Shara Nelson, passeggia lungo un marciapiede statunitense incurante del disagio metropolitano.

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YouTube / emimusic – via Iframely

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YouTube / videomobara – via Iframely

Sempre dei Massive Attack, ma per la regia di Walter Stern, è il video di Teardrop, vincitore nel 1998 come Best Video agli MTV Europe Music Awards. Una visione dall’interno di un sacco amniotico in cui un feto trascorre il tempo che lo separa dalla nascita cullato del dub dei Massive Attack. Grande idea, bella la musica.

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YouTube / emimusic – via Iframely

Per concludere con i Massive Attack, citerei anche il video di Karmakorma, per la regia di Jonathan Glazer, 1995, in cui sono più che evidenti gli omaggi a Stanley Kubrick di Shining, David Lynch di Velluto Blu e Barton Fink dei fratelli Coen.

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YouTube / emimusic – via Iframely

Ancora di Jonathan Glazer – passato alla regia cinematografica già nel 2000 con Sexy Beast – l’ultimo colpo della bestia, Birth – Io sono Sean (2004) e il notevole Under the Skin (2013), protagonista Scarlett Johansson – è il video  Virtual Insanity di Jamiroquai, 1996. Un virtuosismo di pavimenti semoventi che permettono allo strampalato Jason Key di esprimere al meglio le sue performances ginnico-danzerine.

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YouTube / JamiroquaiVEVO – via Iframely

Le stesse che esibisce nel video Canned Heat, per la regia di Jonas Åkerlund 1999, pieno di deformazioni spaziali alla Wes Craven dello sfortunato Sotto Shock (1989) e l’onnipresente televisione, questa volta portale spaziale verso il mondo esterno.

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YouTube / JamiroquaiVEVO – via Iframely

Lo stesso Jonas Åkerlund – ex batterista svedese passato ai videoclip nel 1988 – ha girato il video Smack My Bitch Up dei Prodigy, 1997, un delirio violento, volgare e disturbante che racconta la notte strafatta di una ragazza, tra vomito alcool e sesso, che pare una soggettiva da videogioco tipo Duke Nukem, fra modificazione dei corpi e delle velocità, con tanto di richiamo all’Urlo di Munch nel viso disfatto della ragazza alla fine del video.

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YouTube / AntonisThe – via Iframely

Spike Jonze fa parte della banda dei guru dei videoclip da oltre vent’anni ed è inoltre regista più che affermato e acclamato, a partire dal cult Essere John Malkovich (1999) al Ladro di Orchidee (2002) e Lei (2013), Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Casualmente è anche il regista del videoclip che preferisco in assoluto; Weapon of Choice, 2001, di Fatboy Slim – alias Quentin Leo Cook – vincitore di un Grammy Award e di sei categorie agli MTV Video Music Awards. Magnifica fotografia e magnifico set allucinantemente vuoto e desolato in cui un allampanato e annoiato Christopher Walken si esibisce in una danza spericolata fra gli ambienti del Marriott di Los Angeles. Poesia pura.

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YouTube / Skint Records – via Iframely

Sempre per Fatboy Slim, Spike Jonze ha girato – insieme a Roman Coppola e The Torrance Community Dance Group – il video di Praise You, 1999, in cui, in una sorta di performance da candid camera – il video è stato girato senza alcuna richiesta di permessi ufficiali – un gruppo di ballerini della Torrance Community Dance Group si esibisce davanti agli spettatori ignari all’uscita di un cinema a Westwood, California. Vincitore di tre categorie agli MTV Video Music Awards, il video – che pare sia costato appena 800 dollari – è stato votato, in occasione del ventesimo anniversario di MTV, fra i cento migliori videoclip di tutti i tempi.

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YouTube / Fatboy Slim – via Iframely

Altro video di Fatboy Slim, questa volta per la regia di Garth Jennings (Guida Galattica per Autostoppisti 2005), è Right Here, Right Now, 1999, in cui, con una sintesi geniale, viene rappresentato in tre minuti e mezzo l’intero processo dell’evoluzione della vita sulla Terra, che si conclude con l’alter ego obeso di Fatboy Slim che si accascia sfinito su una panchina. Da mostrare nelle scuole.

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YouTube / Skint Records – via Iframely

Purtroppo ci si ricorda di O Superman di Laurie Anderson, 1981, per una vecchia quanto stupida campagna del Ministero della Salute contro l’AIDS del 1988. Ma il videoclip, la cui regia è della stessa Anderson, è invece una sorta di performance visiva – presentata anche al MoMA di New York nel 1983 – che affronta temi legati alla tecnologia della comunicazione e la guerra.

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YouTube / yellowgowild – via Iframely

Passando al politicamente scorretto – di cui sarò sempre un fautore accanito – non posso non citare Mongoloid dei Devo, 1977, per la regia di Bruce Conner – pittore, regista e scultore famoso per i suoi assemblage (composizioni tridimensionali di oggetti) – esposti nei musei delle pricipali città degli Stati Uniti. In questo video, girato interamente tramite collage, Conner ha mescolato spot televisivi degli anni ‘50 con spezzoni di film di fantascienza, documentari e animazioni. Il risultato finale, secondo i Devo, “…è un documentario che esplora il modo in cui un uomo con un handicap mentale, riesce a diventare un membro utile della società”.

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YouTube / dwyck3000 – via Iframely

Sempre per la regia di Bruce Conner è il video Mea Culpa, 1981, di Brian Eno e David Byrne – rispettivamente ex Roxy Music e Talking Heads – che con l’album My Life in the Bush of Ghosts, poggiano le basi della world music. Tutto completamente in animazione, rigorosamente in bianco e nero, il video pare non avere un significato preciso se non come forma di videoarte astratta in stile scientifico-documentaristico, comunque affascinante.

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YouTube / hoodrum1 – via Iframely

Per il video dei Talking Heads Wild, Wild Life, 1986, è proprio David Byrne a cimentarsi nella regia. Tratto dal film True Stories – regia dello stesso Byrne – e con alcune integrazioni. Ne viene fuori un’originale e delirante scherzo in cui una miriade di emeriti sconosciuti si alternano su un’improbabile palco di un’altrettanto improbabile locale, cantando il pezzo in lip-synch – quando ancora non lo facevano tutti – e parodiando personaggi famosi come Madonna, Prince, Billy Idol… Fotografia, costumi e acconciature da urlo.
Vincitore degli MTV Awards 1987 nella categoria Best Group Video. Cameo di John Goodman.

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YouTube / Edgar Aldrett – via Iframely

Altro italiano, Matteo Bernardini, che nel 2008 vince il contest indetto da Moby per il video del suo nuovo singolo Ooh Yeah. Un incontro che proietterà Matteo – torinese venticinquenne fresco di laurea in lettere – nel mondo dei cortometraggi pubblicitari e non. Anche se qualcuno, come sempre a sproposito, è riuscito a vederci addirittura il solito Andy Warhol col corto Blow Job, direi che siamo in tutt’altra atmosfera. E cioè nel pieno degli anni ‘70 della disco music ma, ancor più, nei ‘70 del porno che iniziava a sdoganarsi, da Gola Profonda, alla citazione per John Holmes, attore feticcio e superdotato, morto di AIDS nel 1988, a cui Bernardini si è ispirato per il protagonista del videoclip. Niente a che fare con arte e videoarte, ma un bel tuffo nel passato per chi gli anni ‘70 se li è goduti, i colori (Foxy Lady o Banana Split del fotografo Cheyco Leidmann), le atmosfere, addirittura la qualità scadente dell’immagine e delle titolazioni.

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YouTube / emimusic – via Iframely

Ancora Björk, con Hunter, 1997, per la regia di Paul White, che gioca ancora sulla modificazione del corpo e lo scorrere del tempo. Un video semplice in cui Björk, nuda e calva, si trasforma – in un misto di organico e tecnologico – in un robo-orso polare. Un lavoro di post produzione che ha fatto levitare il costo del video a oltre 250.000 sterline. Forse un budget on po’ troppo elevato per restare nell’ambito della video arte.

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YouTube / María M. C. – via Iframely

Wrong (sbagliato, scorretto) è il titolo del video dei Depeche Mode del 2008. La regia di Patrick Daughters, mostra un uomo legato e imbavagliato, imprigionato in un’auto che si muove in retromarcia a folle velocità nel centro di Los Angeles. Impossibilitato a controllare il veicolo in qualsiasi modo, assiste impotente agli incidenti e gli investimenti che causa la corsa all’indietro, fino all’epilogo finale in cui l’auto viene investita da un furgone bianco. Il video si conclude con la probabile morte dell’uomo di cui non sappiamo nulla. Una tragedia senza senso, senza motivazioni, sbagliata appunto. In uno dei più inquietanti video dei Depeche Mode. La band è presente in un cameo quando, passengiando sul marciapiede, incrocia lo sguardo dell’uomo. Classificato al secondo posto nei cinque migliori video del 2009 secondo la rivista Time.

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YouTube / adroix – via Iframely

Salt in the Wounds del gruppo australiano Pendulum, 2010, per la regia degli stessi Pendulum è l’apoteosi tra elettronica e insetti (scarafaggi, scorpioni, scolopendre…) un’insettofobia che affonda le radici in Un Chien Andalou di Louis Buñuel e Salvador Dalì. Mutazioni organico-elettroniche per insetti, come Tetsuo the Iron Man (Shinya Tsukamoto) lo fu per gli esseri umani, e alla grafica di fumetti alla Sin City o anche al Saul Bass dei titoli di testa di James Bond. Peccato per la musica, almeno per me, inascoltabile.

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YouTube / Josh Samways – via Iframely

Zbigniev Rybczynski è un regista polacco trasferitosi negli Stati Uniti dopo aver vinto un Oscar nel 1983 per il miglior cortometraggio d’animazione. Lì girerà molti videoclip per artisti come Simple Minds, Jimmy Cliff, Lou Reed e Art of Noise. In questo caso ho scelto il video Hell in Paradise, 1986, girato per una Yoko Ono in versione electro pop circondata da freaks. Vincitore nella categoria Most Innovative Video ai Billboard Music Awards del 1986. Uno stile mutuato dall’originaria esperienza nei film d’animazione polacchi che mi riportano alla mente alcuni cartoni animati della fine degli anni ‘60 come Gustavo (Ungheria) o Il Professor Baltazar (Jugoslavia).

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YouTube / GOLD*Hits*TV – via Iframely

Dello stesso regista, anche se non li considero video arte, devo citare i video degli Art of Noise Close (To the Edit) 1984, vincitore di due MTV Video Music Awards nel 1985 e Opportunities (Let’s Make Lots of Money) dei Pet Shop Boys, 1985.

Non posso non inserire in questa classifica – anche se no ho già parlato quiWiderstehe Doch Der Sünde, 2015, di Nicolas Godin (una metà del duo Air) per la regia di The Sacred Egg, in cui la zombitudine dei protagonisti si fa riflessione e poesia. Il bianco e nero stile Notte dei morti viventi di George Romero (1968), ma più morbido, ci catapulta dalle assolate spiagge dei Beach Boys alla desolazione tempestosa di un mare popolato da zombie che si dilettano a surfare fra gli squali e ballare alla luce dei falò sulla spiaggia, incantandosi a guardare la Luna.
Dov’è finita l’umanità? Probabilmente estinta, o divorata. Rimangono solo loro, gli zombi che, ormai privi della fame atavica, si possono finalmente dedicare a ciò che gli uomini hanno dimenticato: vivera la natura, il proprio tempo infinito.
Consigliavo di guardarlo sostituendo l’audio originale con Wouldn’t It Be Nice dei Beach Boys. E ne sono sempre più convinto.

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YouTube / Nicolas Godin – via Iframely

James Rizzi è un artista vero, pop fino al midollo, mezzo italiano, nato e cresciuto a Brooklyn e scomparso nel 2011. Nel 1983 girò il video di Pleasure of Love, dei Tom Tom Club, un’animazione realizzata da Rocky Morton e Annabel Jankel basata sui disegni di Rizzi. Video Musicale preferito da Frank Zappa che, in un’intervista a MTV, lo definì “Animato e intelligente”.

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YouTube / RAID JAMS – via Iframely

Jeremy Blake, che pare aver imparato parte della lezione di James Rizzi, almeno nell’uso di alcune tecniche di disegno simili a tratti al neon, costruisce per Round the Bend di Beck, dall’album Sea Change, di cui ha curato anche la grafica della copertina, 2002, un video di immagini statiche che si dissolvono una nell’altra in un orgasmo di luci e colori in perfetta sintonia con la musica. Dal video traspare un’infinita e malinconica solitudine che, molto probabilmente, si trasformò nel 2007, in un drammatico quanto romantico suicidio di Blake, visto da alcuni testimoni camminare verso l’oceano dopo aver lasciato vestiti e portafoglio sulla spiaggia. I suoi lavori sono presenti nelle collezioni del MoMA di New York e il Museum of Modern Art di San Francisco.

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YouTube / BeckVEVO – via Iframely

Se non di vera e propria videoarte, per Take on Me 1985, dei norvegesi A-Ha, potremmo parlare di videofumetto rotoscopico d’autore. Il video, per la regia di Steve Barron, (Tartarughe Ninja alla riscossa) va citato se non altro per aver vinto agli MTV Video Music Awards del 1986 ben sei premi, e per la citazione di Stati di Allucinazione (1980) di Ken Russell nella scena finale del corridoio. Un video che, stando a Wikipedia, nel 2013 ha ottenuto oltre tre milioni di visualizzazioni.

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YouTube / RHINO – via Iframely

E di leggerezza in leggerezza, terminerei questa lunga carrellata con Rock DJ, 2000, dell’ex Take That Robbie Williams, per la regia di Vaughan Arnell. Un video stupido-ironico perfettamente nello stile del gigione Robbie che però questa volta mi ha fatto subito pensare a Lady Gaga vestita di carne agli MTV Music Awards del 2010, all’artista Dimitri Tsykalov e alle sue sculture di carne della serie Meat – ne abbiamo parlato qui – o Betty Hirst e i suoi oggetti in bacon. Fatto sta che il simpatico Robbie, esibizionista per natura, non sopporta di non essere filato manco di striscio da tutte le ragazze che gli girano intorno indifferenti, tanto da inscenare uno striptease estremo, gettando pezzi della sua stessa carne alle fameliche ragazze, fino a rimanere un nudo scheletro danzante. Come si dice: …e una fetta di culo no? Vincitore nel 2001 nella sezione Best Special Effects agli MTV Video Music Awards, nonché Best Music Video ai Brit Awards, il video si chiude con la scritta: “No Robbies were Harmed During the Making of This Video”.

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YouTube / robbiewilliamsvevo – via Iframely

Di certo avrò dimenticato qualcosa di importantissimo, che so, un video di qualche artista celeberrimo, oppure di qualche sconosciuto regista che avrà sicuramente surclassato artisti visivi più che blasonati ma, come detto all’inizio, questa non è una classifica, né artistica e tanto meno musicale. È solo ciò che ho trovato di più interessante e suggestionante spulciando fra quella che senz’altro possiamo considerare una forma d’arte a tutti gli effetti. A voi integrarla secondo i vostri gusti.

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