Impossibile non parlare di quanto accaduto a Parigi venerdì scorso, impossibile fare finta di niente, impossibile non sottolineare l’inutilità della guerra, impossibile non rimarcare il fatto che questa volta la follia fanatica e truce dei terroristi abbia colpito la musica, il rock in particolare.
Bruce da sempre è schierato contro la guerra, lo ha sempre detto e lo ha sempre cantato nelle sue canzoni (da “Lost In The Flood” a“Born in The USA”, da “Shut Out The Light”a “Brothers Under The Bridge”, da “Gipsy Biker” a “Souls Of The Departed” solo per citare qualche brano) e in quelle di altri che ha interpretato in modo da renderle sue (“War” di Edwin Starr su tutte). Ogni anno – ne abbiamo parlato anche pochi giorni fa su questo spazio – partecipa allo Stand Up For Heroes che si tiene a New York per i veterani. Ma lo ha fatto soprattutto scrivendo un intero album, bellissimo, all’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001: The Rising.
Oggi quel disco risuona ancora tragicamente attuale, nulla è cambiato. Anzi, tutto sembra drammaticamente peggiorato. Ieri hanno colpito i centri del potere economico, finanziario e militare (le Twin Towers e il Pentagono), oggi colpiscono la musica e i luoghi del divertimento, del relax, della passione, delle emozioni, della nostra vita quotidiana (lo stadio, il bar, il ristorante, il teatro, la strada) nella sera che dà il via al week-end, ovvero il nostro spazio libero, quello in cui incontriamo gli altri e recuperiamo la nostra socialità . Cosa che ai terroristi risulta intollerabile.
Springsteen in The Rising – unico artista nel panorama musicale occidentale – ha dato voce anche al kamikaze che si fa esplodere. Lo ha fatto in “Paradise” raccontando per l’appunto la storia di un uomo che saluta la moglie e il figlio che ancora dormono, per andare a compiere un attentato. Lo fa con una dolcezza inconsueta che serve – per contrasto – non solo a evidenziare la follia di un simile gesto, ma anche per provare a capire cosa possa passare nella mente di un attentatore, anche lui uomo, che combatte per un’altra causa, diametralmente opposta alla nostra. Non c’è spiegazione, ma neanche compassione.
Ci sono anche altri due brani che meritano di essere menzionati all’interno di The Rising: “Worlds Apart” e “Let’s be friends”, che parlano dell’incontro e dell’integrazione tra due mondi e due concezioni della vita che sembrano essere agli antipodi. Riascoltarlo tutto intero oggi, dopo le stragi di Parigi, è un brivido lungo 72 minuti e 52 secondi. Un colpo al cuore, oggi come tredici anni fa. Ma solo attraverso il confronto, il dialogo, la reciproca comprensione si può arrivare alla pace. Senza se e senza ma. Senza retorica e senza falsi miti.
E la musica, l’arte, la cultura e la civiltà hanno un ruolo fondamentale.
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