E’ il 9 gennaio 2016.
A tre anni di distanza dal già buono “Wake Up Nation”, il Teatro Spazio 89 di Milano dove Daniele Tenca presenta il suo nuovo lavoro è una location accogliente e spaziosa, oltre che gremita di fans e addetti ai lavori desiderosi di assistere al live di presentazione del bluesman milanese. Preceduti da una breve ma intensa esibizione acustica del bravo e simpatico Ed Abbiati, Daniele Tenca e la Working Class Band salgono sul palco appena passate le 22 e attaccano con la title-track dell’ultimo album, “Love is the Only Law” per poi buttarsi in un concerto appassionato e divertente, dove nel mezzo dei brani nuovi e dagli album precedenti compaiono tre cover di lusso: “Savin’ Up” di Bruce Springsteen, “One Guitar” di Willie Nile e “Bad Moon Rising” dei Creedence Clearwater Revival. Ed è blues di buonissima fattura, come se non bastasse. Niente male davvero, visto che quest’ultimo disco lo avevo ascoltato una volta appena prima di assistere alla serata…
(Nella foto: Guy Davis e Daniele Tenca)
Daniele Tenca
Love is the only Law
(Route 61)
Voto: 7
…e dopo una serie approfondita di ascolti, devo dire che, effettivamente, il buon Daniele meriti tutta l’attenzione (ne meriterebbe anche di più) che gli è stata concessa finora in terra italica. Prodotto da Antonio “Cooper” Cupertino, dal bluesman Guy Davis e dallo stesso Tenca, “Love Is the Only Law” parte con il country-blues della title-track e, canzone dopo canzone, sfodera un campionario non indifferente di blues, boogie, rock-blues, roots-rock e perfino alcune suggestioni “paisley” che mi han fatto venire alla mente i Green On Red di “The Killer Inside Me” e anche qualche sapiente richiamo ai Doors.
Un suono “dusty”, polveroso, molto americano, suggestivo come dal vivo. Molto migliorati anche i testi dove, dalla chiave unica d’interpretazione dei dischi precedenti e in un inglese più che buono, Tenca riserva ad alcune delle sue canzoni una dualità d’interpretazione assai intrigante. Da Grillo Parlante, come lui stesso si è definito tempo fa, Daniele Tenca si è evoluto in un blues storyteller capace di raccontare il mondo che gli gira intorno cantando (così dice lui) dei fatti propri personali. Al punto che le riflessioni dell’apparente crisi di coppia di “Haunted House”, in questo modo, possono anche diventare considerazioni sul mondo che noi stessi ci siamo creati e costruiti. Per cecità, per sufficienza, per superficialità, certo. Le cause sono sempre le stesse, ma pochi sono in grado di leggerle e riconoscerle. E bravo Tenca.
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