Sei seduta davanti a me, il sole tramonta oltre i vetri e il silenzio ci avvolge. Improvvisamente alzi lo sguardo e mi chiedi:

– Secondo te, esiste in fondo una reale differenza tra le varie forme di arte? O tutto dipende dall’espressione di noi stessi all’interno del mondo.

Guardo i tuoi occhi brucianti, quanti anni potrai avere? Cento? Ventidue?, che importanza ha? Ritrovo di colpo in te il tracciato che era sommerso nel mio fondale.

La domanda si sospende per un tempo indefinito nel silenzio preserale. Chiama in causa faccende più complesse di noi, seduti qui uno di fronte all’altra, così diversi nel sesso, nell’età, nel pensiero. Che cosa hai visto, cosa hai provato, io non so, e tu non puoi sapere di me chi io sono e sono stato, sarò.

Una matassa di fili sottilissimi, argentata come una ragnatela al sole, si tende tra noi, e districarla è arduo, delicato come compito serale, ed io ho già fame, un appetito lontano di te, una voglia indistinta di assaggiare la nostra distanza, cancellarla a piccoli morsi.

– La mia risposta sarà questa: io non credo vi sia differenza. Se penso alla scrittura, ad esempio, trovo che scrivere sia per me un’esperienza completa e ardentemente complessa.

E’ una pratica che costringe a uscire allo scoperto e a rivelarsi, svelando a chi leggerà le proprie pulsioni e visioni delle cose.

Secondo le più sottili letture della realtà quantica – che inspiegabilmente coincide con sapienze millenarie – il tempo è respiro, e la vita non si misura in secondi, minuti, giorni, anni, ma appunto in respiri.

Come il tuo, adesso. Vedo il tuo petto sollevarsi lievemente per l’atto naturale di trarre l’ossigeno da questa sera limpida.

Comunque stiano le cose, mi è chiaro che se devi darti, devi farlo nel modo più intransigente, fin nel dettaglio del respiro, e scrivere è una delle più acute oscenità che si conoscano.

– Ma come può accadere di darsi tanto intensamente? E’ difficile dire le cose.

– Infatti non so dirle. Accade così: si va per cercare qualcosa e si trova qualcosa d’altro, che tuttavia ci è assai utile, e che misteriosamente ci riconduce a ciò che si intendeva raggiungere.

– Non sono sicura di capire.

– Dunque io credo esista un livello dato, basale, ancestrale, primordiale, che è quello che ci collega tutti poiché riguarda tutti.

Stimola in tutti le stesse reazioni, così come le funzioni essenziali ci collegano allo stato minimo della materia. Così è l’appartenenza tra le arti.

Io e te possiamo pure essere diversi, lontani, io non so chi sei tu non sai chi sono, ma questo non ci impedisce di reagire in un modo sostanzialmente uguale in determinate circostanze.

Questo livello di base, che fa di tutti una sola identica cosa, credo sia in grado di precedere e allo stesso tempo sopravanzare la cultura, che è il dato acquisito che ci divide.

– Divide?

– La cultura fa sì che se io da una certa stanza di una data struttura urlo “al fuoco” in curdo, i curdi si allarmeranno, ma gli svedesi ad esempio, o i portoghesi, sinché non vedranno le fiamme, resteranno facilmente insensibili cercando di capire il perché di tanta concitazione.

– Capisco.

– Ma se un danese può vedere gli effetti del terrore sul volto di un siriano, possiamo essere certi che questi riconoscerà benissimo il segnale di pericolo. La natura ci fa essere una sola cosa. Ci fa tornare al brodo primordiale e riunisce le carni. La cultura invece ci separa, e tale separazione convince ciascuna delle parti a ritenersi nel giusto, dalla qual cosa discende ogni conflitto. La cultura intesa come acquisizione di elementi di interpretazione del mondo, è ciò che fa vibrare qualcuno nell’ascoltare Ligeti o Satie, ma ciò annoierà o disturberà parecchio chi ha conosciuto la musica solo come manifestazione di intrattenimento.

– Siamo così presuntuosi gli uni verso gli altri.

– Come homo sapiens sì. In qualità di scimmie evolute, siamo invece tutti la stessa materia. E sappiamo di appartenerci.

– Io desidero appartenere.

– Anche io lo desidero.

– Se fosse così, questo mi farebbe sentire meno sola.

– Se il pensiero più raffinato ci porta a gustare visioni specialissime della vita interiore, questo stesso privilegio rischia di farci sentire migliori di chi non ha immaginato mai che vi possa essere in musica un universo di sfumature da cogliere, tante e tali che malgrado la massima applicazione, a nessuno basterà il tempo di tutta una vita per coglierle.

– Non ci avevo pensato mai.

– Ma questa presunzione di superiorità è l’esatta prova della nostra puerile ignoranza del fatto che uno scimpanzè ha lo stesso dna di Albert Einstein.

La mia sconosciuta mi regala il primo sorriso, e il sole ci saluta lentamente.

– Se tu potessi entrare nelle cellule dell’organismo di chi si eccita solo per una partita di calcio, e poi potessi fare la stessa cosa nell’organismo di Claudio Abbado mentre dirige Mahler, scopriresti che la base neuronale da cui partono l’una e l’altra esperienza, per quanto diverse esse siano, è la medesima.

– E’ così? Davvero è così?

– Pare di sì. Per questo da tempo mi appassiona tutto ciò che di contiguo vi è tra la scienza come arte e l’arte come scienza.

– Arte come scienza.

– Giunta a un determinato livello, la poesia possiede le stesse facoltà di scoperta oggettiva della miglior scienza, come fosse la velocità della luce, capisci?, o il punto di fusione della materia; ed è la precisa ragione per cui da millenni, in ambiti sempre troppo poco considerati, si parla di arte oggettiva.

– Arte oggettiva. E’ una combinazione che sembra un contrasto.

– Qui si entra in un groviglio di pensieri, e sta per fare buio.

– E la musica?

– La musica sì, sarebbe in grado di fare di tante differenze una sola uguaglianza, indipendentemente dai percorsi di ogni singolo.

– Ma come si può fare una cosa simile?

– Io non lo so, ma credo sia possibile solo pescando in quel fondale in cui tutti siamo la stessa cosa.

Silenzio, poi un alzarsi di cicale, e auto che scorrono lontanissime.

– Per questo, se ti tocco, so di trovare nel tuo fondale lo stesso vischio che ha generato me.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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