La persona.

Animale, primariamente.

Un termine bellissimo, che ci riguarda molto, e ci spaventa, dimentichi della sua radice: anima.

Noi non  vorremmo sentirci animali, vorremmo crederci più alti, eletti, prescelti. Pur dicendo di amare gli animali, ne prendiamo le distanze dal punto di vista più intimo. Come se la biologia che tanto abbiamo sviluppato non ci dicesse che invece noi siamo esattamente una parte di questo crogiuolo di manifestazioni della materia.

Un’osservazione al mondo degli insetti ci fa ammirati e ci disgusta al tempo stesso. Ci esalta e ci terrorizza.

Probabilmente la vita di un uomo percepita dalla parte di un ragno o di un coleottero, da parte di uno scorpione, deve essere qualcosa di abnorme e vago, distaccato e spaventevole. Dobbiamo essere montagne indistinte che si agitano da qualche parte.

Ci sono teorie finissime, e tanto spesso del tutto interessate a veicolare le opinioni in fatto di persona, che ci illustrano cosa sarebbe e cosa non sarebbe questa “persona”.

Ma chi vive accanto a un essere differente, come accanto a un cane, o a stretto contatto di pelo-pelle con un gatto, sa bene che il concetto di persona non ha confini.

La persona è tale perché vive, si sviluppa e poi muore, ma non sparisce.

È l’avvenimento perenne, qualcosa che io so esserci pure quando non vedo la sua figura.

Fantasma dunque?

No, persona, impersonata, incarnata e poi disincarnata in forme che non ci è dato sino nella sostanza cogliere.

Chi perde una persona che gli è stata cara, fondamentale, che è stata il riferimento affettivo, fisico, relazionale, sente la solitudine impadronirsi del proprio essere, almeno fino a quando non comincia a realizzare che la scomparsa alla vista non significa scomparsa in quanto fine.

Sente che la fine non esiste.

Perché non esiste la fine. Non esiste un inizio.

Vorremmo scoprire quale e come sarebbe stato il primo istante di vita dell’universo.

Se questo fosse possibile, ed esistesse davvero un inizio, la nostra saccenza andrebbe a sbattere violentemente contro la certezza che dovrebbe esservi altresì un istante in cui “la cosa” andrebbe a morire.

Pensiamo alla fiamma di una candela: l’accendo, stenta, prende, comincia a stabilizzarsi, arde pienamente. Se soffio e la spengo, credo di intravvederne la fine. Mentre un filo acre di fumo si leva dalla vita ardente, mi assale il dubbio che possa essere stato io davvero ad accendere e poi spegnere quel suo esistere, o piuttosto non sia io messo nelle condizioni di credere di poterlo fare, cioè inserito in un insieme di eventi tra i quali si annovera per me o per te anche quello di attivare una fiamma.

Non c’è cosa che si possa definire, intendendo con tale termine, se mi si consente, l’individuazione di un limite: qualcosa che determini “un prima” e “un dopo” la sua accensione a vivere.

Prima che noi ci fossimo, sebbene noi non ci fossimo ancora così come ci percepiamo adesso, in quello speciale grumo di situazioni, sensazioni, pulsazioni, percezioni che ci fanno intendere che esistiamo, sebbene non ci fosse ancora ciò che altri vedendomi chiamano col mio nome, esistevano dei presupposti, senza i quali io non sarei mai nato.

L’esistenza delle condizioni tali per cui io poi posso permettermi di esistere, è la pre-vita che mi contraddistingue.

E ciò che io sarò capace di fare, è la condizione che mi sopravviverà, estendendo l’esperienza del mio vivere al resto delle cose e delle persone che vorranno o sapranno cogliere tale sostanza inconsustanziale.

Ci possono essere cose che sono il contrario dell’essere?

La risposta è facile: no.

Niente è il contrario di ciò che è in profondità.

Il contrario del niente non può essere il non-niente, poiché la vita è assai più composita di ciò.

Abbiamo trascorso millenni di pensiero spontaneo, e poi secoli e secoli di pensiero scientificato, credendo che esistesse il vuoto.

Pensavamo cioè, per ingenuità, che la distanza tra un corpo e l’altro, fosse il non-corpo.

Pareva elementare, qualcosa del quale essere tutti senz’altro d’accordo.

Poi viene fuori che il vuoto non è vuoto.

Era facile da intendersi dopotutto che la distanza tra me e te non può essere niente, nel senso che noi crediamo di intendere, bensì più precisamente qualcosa che collega me e te.

Allora tutto si complica, semplificandosi.

Nulla è infatti più difficile da capire di ciò che è semplice.

Allora io e te siamo una cosa sola, per così dire separata solo da determinati elementi che ci collegano, ora in un modo, ora in un altro.

Torno alla mia pre-vita, e rifletto che dunque non è vero che io non esistessi prima di essere concepito, bensì preesisteva di me quel precedente che mi avrebbe poi permesso di cominciare a vivere. E di qui poi giungo a capire che allo stesso modo, ciò che finisce con me, dopo me prosegue in altro.

Oggi per milioni di persone è pasqua.

Moltissimi il significato se lo sono dimenticato, presi come sono a festeggiare, altri, controllati dal dovere di un credo, se ne ricordano in modo automatico, sbiadito, come un dovere. Una minoranza, i più attenti, tornano al senso di questo mito.

E il mito è delicatissimo.

È quello del superamento del concetto della fine.

Inocula il concetto dell’oltre vita, la vita che prosegue e si manifesta in altro modo.

Alcuni, erroneamente, o solo per il profitto di creare o alimentare proselitismo, insistono con la falsità del concetto di “superamento della morte”.

Ma la vera lettura io credo sia: la naturale prosecuzione del vivere, per altra via, date le condizioni create in vita.

Da questo punto di vista, il mito religioso si unisce al pensiero panico, come Spinoza ci ha suggerito e che chiunque può intuire almeno una volta:

siamo tutti di tutti, siamo il tutto nel tutto, tutti un po’ tutto, il tutto è in tutti.

Sembra niente, ma fa vivere più umidamente in un legame comune.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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