Alice Basso. Da redattrice a scrittrice (intervista)

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Il passo da redattrice a scrittrice può sembrare breve, ma a volte bisogna trovare il coraggio di investire nelle proprie capacità. Ce lo spiega Alice Basso, giovane scrittrice milanese, ma piemontese d’adozione, che dopo anni di lavoro come redattrice e traduttrice per svariate case editrici ha scelto di “aprire il cassetto” con tutto il materiale che lei ha sempre scritto, ma che ancora nessuno conosceva. Ed è così che sono nati L’imprevedibile piano di una scrittrice senza nome (edito da Garzanti, 2015) e Scrivere è un mestiere pericoloso, uscito il 12 maggio. Ironica, divertente ed intelligente, Alice dimostra una grande capacità nel maneggiare vari stili che mescola con sapienza, dal romanzo introspettivo al noir: “Più che basarsi su un’idea, il libro è diventato un puzzle di idee, di spunti, di suggestioni. Per me è come aver ficcato in una scatola tutte le cose che mi piacciono di più”, spiega nella conversazione inserita alla fine del suo primo romanzo. Abbiamo avuto il piacere di contattarla per farci raccontare meglio del suo lavoro e dei suoi prossimi progetti.

Sei ormai giunta al tuo secondo romanzo. Cosa ti ha spinto a scrivere finalmente qualcosa di tuo? Ricordiamo che tu sei una bravissima redattrice.
Grazie per il “bravissima!”. In realtà, sai, io ho sempre scritto anche roba mia: la domanda potrebbe essere “cosa ti ha spinto stavolta ad aprire il cassetto?”. Non saprei. Mi sembrava di avere prodotto un lavoro un po’ più presentabile dei precedenti: una storia più originale, uno stile più asciutto, un potenziale vero. Fare l’editor e il redattore e correggere tutto il giorno testi altrui non basta ma aiuta (come diceva una vecchia pubblicità) a renderti conto con un filo in più di lucidità di quanto sia accettabile o meno qualcosa che scrivi tu… anche se non ti garantisce mai la totale obiettività! Comunque, con L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome mi sembrava di avere fatto qualcosa di cui, anche se non fosse andata bene, non avrei dovuto proprio proprio vergognarmi, e volevo vedere cosa succedeva a provare!
Cosa caratterizza di più la tua scrittura?
L’ironia, credo, almeno nelle intenzioni! A me non è che vadano molto a genio i libri che si prendono molto sul serio, e poi non so nemmeno se sarei capace a scriverne. Invece amo tantissimo qualsiasi tipo di narrazione che sappia incorporare un po’ di umorismo e ironia (possibilmente anche autoironia). Ah, e poi il giocare con i generi letterari: lo adoro, mi ci diverto da morire: tutta la serie di Vani Sarca è pensata con quest’impronta, e nel secondo libro, Scrivere è un mestiere pericoloso, ci ho dato dentro ancora più che nel primo!
Come ti definiresti a chi non ti conosce?

La versione buona e rassicurante di Vani! Tutte e due siamo schiave della battuta e amiamo il nostro lavoro; lei però è una sociopatica dark, io fortunatamente sono una bonacciona guanciuta che sembra uscita da un cartone animato.
Aspetta un attimo… ho detto “fortunatamente”?!

Nel tuo ultimo libro, Scrivere è un mestiere pericoloso, ritorna la tua adorata Vani Sarca. In quello precedente, L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome, vediamo Vani che si propone come ghostwriter per una casa editrice e anche come alla fine si ritroverà addirittura a risolvere un giallo collaborando con la polizia. Faresti mai la ghostwiter? Ci sono cose che hai fatto fare a Vani e che non faresti mai?
Sì sì, farei senza problemi la ghostwriter: se tocca farlo perché un calciatore dal cervello di polistirolo possa pubblicare un libro scemo è un lavoro abbrutente, ma se si tratta di aiutare – che so – un profugo, un benefattore o un sopravvissuto a scrivere la propria testimonianza autobiografica, allora non c’è niente di male; è prestare le proprie competenze di scrittori a qualcuno che magari ha tanto da raccontare e semplicemente non sa come si fa. Chiaramente, a Vani mai che capitino casi così nobili: una delle cose che fa ridere delle sue vicissitudini sta nell’infallibilità con cui il suo capo le rifila incarichi orribili…
copertina libro
 Cosa dobbiamo aspettarci da questo secondo capitolo?Crimini efferati, roba torbida. Per esempio – i deboli di cuore si astengano dal proseguire nella lettura – Vani è costretta per lavoro a imparare a cucinare! Ok, no, a parte gli scherzi, un crimine c’è davvero, a fare da perno alla trama “gialla”. Però Vani cucina talmente male che forse il vero crimine è dare una padella in mano a lei! Meno male che l’aiuterà il commissario Berganza, che come ogni investigatore letterario che si rispetti è anche un gourmet.
E poi, beh, snodi sentimentali, riflessioni sulla famiglia, l’identità e la fedeltà a se stessi, molta musica e moltissima letteratura.
Nel tuo tempo libero canti in due band. Ti sarebbe piaciuto che diventasse un mestiere vero e proprio?
Nah, l’ho sempre e solo visto come un hobby! Senza nulla togliere al piacere che provo nel cantare e soprattutto nello scrivere canzoni (cosa che in questo libro faccio fare pure a Vani!). Però una delle band in cui suono è composta da ragazze molto più giovani di me e loro, che hanno ancora l’età giusta e sono preparatissime, delle musiciste di professione potrebbero proprio diventarlo.
Che genere di musica ami ascoltare?
Io sono vecchia dentro, mi sa! Mi piace il folk-rock americano, il blues, il country blues; Springsteen, i Rolling Stones, Tom Waits, Leonard Cohen… Ma con le mie band non ho preclusioni a fare anche cose più elettroniche o più moderne, perché suonare è divertente sempre.
Nel primo libro Vani viene paragonata a Lisbeth Salander, il personaggio creato dallo scrittore svedese Stieg Larsson. Hai scelto di farla somigliare a lei perché ami quel genere di letteratura? C’è un genere che ti appassiona in modo particolare?
Devo confessarti che non sono particolarmente fan dei romanzi che hanno per protagonista Lisbeth Salander (e non è un giro di parole per intendere “non mi piacciono”: è veramente e soltanto un “non sono particolarmente fan”). Ma Lisbeth è un personaggio così… letterario, sopra le righe, inconfondibile, che era perfetta ai fini del mio personaggio! Vani infatti è per mestiere un “eterno piano B”, e le girano tantissimo le scatole (si poteva dire?) perché anche il suo look, che lei si è inventata da sola quando aveva quindici anni, dall’uscita dei romanzi di Larsson in poi è stato preso per una copiatura pure quello!
Cosa ti auguri per il tuo futuro?
Considerato che dubito che mi verranno mai i capelli rossi o gli occhi verdi, che diventerò più alta di dieci centimetri o che vincerò finalmente la mia battaglia con la ciccia dell’interno coscia, mi basterebbe poter continuare come adesso: a fare il lavoro, anzi i due lavori, che adoro, circondata da persone adorabili.
Riconosco di essere una persona molto fortunata.

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