Stefano Bollani
Napoli Trip (Decca/Universal)
Voto: 8

Ci sono musicisti che risultano immediatamente simpatici. Al pubblico e alla critica. Sono disponibili, divertenti, autoironici. Veri: la sincerità, del resto, è il segreto del successo, una volta che sei capace di simularla (parola di Groucho Marx). E ogni loro sortita viene accolta con grandi battimani. Qualunque ne sia il livello qualitativo.
Ci sono musicisti bravi e creativi. Da loro ci si aspetta sempre di più, da parte del pubblico e della critica. Sono innovativi senza chiudersi nella torre d’avorio dell’incomunicabilità e sanno piacere senza scivolare nell’accondiscendente. Le loro opere sono analizzate con lo speculum più sofisticato e con aspettative sempre superiori.
E ci sono musicisti che riescono a mantenere i piedi nelle due scarpe differenti. Stefano Bollani è uno di questi. Il suo modo di porsi simpaticamente spensierato, ironico e graffiante sul palco come di fronte alla stampa, sempre pronto a battute inattese e a proporre punti di vista inusuali, lo fa amare acriticamente da moltissimi. La sua ricerca, a volte spontanea a volte raffinata a volte (in)voluta spesso laterale spesso sorridente, fa sì che alcuni – ahinoi, anche chi scrive – pretendano da lui esiti ogni volta importanti, finanche abbassando il voto del suo “compito” rispetto a quanto il medesimo avrebbe ottenuto se fornito da altri.
Questo Napoli Trip è un disco riuscito, senza dubbio. Capace di rappresentare con la forza di uno sguardo a volte viscerale a volte analitico “una città piena di energia”, come ci ha detto il musicista milanese, fiorentino di adozione e vagabondo per mezzo mondo a portare musica.
“Un’energia che viene dal sottosuolo e che la tiene in vita. Qualcosa di esoterico, che forse viene dal Vesuvio e che tutti, italiani, spagnoli, cercano da sempre di cancellare. È per questo che a Napoli ogni situazione è esacerbata, esasperata, elevata ad alta potenza, ma con tempi rallentati.”
4792713_CD_6_4COL.inddL’album è uscito venerdì 27 in Italia e in cinque Paesi europei, mentre il 17 giugno verrà distribuito in tutto il mondo: Bollani, oltre a essere il jazzista italiano che vanta la maggiore presenza nelle nostre classifiche assolute di vendita (120 settimane), è uno dei più conosciuti a livello planetario, pluripremiato e con un trio danese pressoché stabile, oltre che abituato a collaborazioni eccellenti. Come quelle che lo affiancano qui, a cominciare da chi gli ha dato l’input a mettere in musica la sua latente napoletanità da scugnizzo mancato, il sassofonista Daniele Sepe.
“Mi ha riempito di dischi partenopei, che mi hanno fatto confrontare con personaggi eccezionali che neppure avrei potuto immaginare. Una per tutti Ria Rosa, che chiamano “la nonna del femminismo” e che cantava in maniera forte, aggressiva, volgare, canzoni anticipatrici.” Compresa una in difesa di Sacco e Vanzetti, oltre a quelle che dichiaravano la parità dei diritti delle donne, a inizio secolo scorso: “a noi non è permesso, ma scusate, ma perché?”
Con Sepe e Bollani, sono spesso Nico Gori al clarinetto e il superbatterista francese Manu Katché, ovvero il quartetto che porterà a luglio e agosto in tournée l’intero progetto, con l’aggiunta di diverse novità (“suoniamo insieme per 20 minuti nel disco, dal vivo dovremo rimpolpare di molto il repertorio”).
E se all’ensemble sono affidati gli inediti, tutti pulsanti di vitalità e di quotidianità, di “Vicoli”, “Maschere” e “Sette”, come recitano tre titoli, ovvero “le tre cose che più mi hanno colpito della città”, al pianoforte solo vengono affidati sketch da Pino Daniele, Renato Carosone, “’O sole mio” e l’unico brano cantato, dallo stesso leader, “Guapparia 2000”, del cantautore Lorenzo Hengeller.
Completano la variegata operazione due brani della tradizione (“’O guappo ’nnammurato” di Raffaele Viviani e “Il bel ciccillo” di Nino Taranto), proposti con l’ensemble di fiati di Sepe, due affidati al programmatore norvegese Jan Bang, con sample elettronici e la tromba del formidabile Arve Henriksen, e la conclusiva “Reginella” con il piano e il mandolino del brasiliano Hamilton De Holanda.
“Eravamo a Rio a registrare il suo disco con Chico Buarque De Hollanda, quando Chico se n’è andato perché voleva vedere una partita. Ci è rimasto lo studio a disposizione, già pagato, così gli ho proposto di registrare questa versione, che è venuta fuori molto particolare.”

Foto da ufficio stampa Pianoforte sostenibile

Bollani continua “a giocare con la musica, come facevano Zappa, i Beatles, come Ravel e Satie, come Prince forse. A cercare di pensare come fanno i bambini. Stavolta, dopo Rio con Carioca, è toccato ancora a una città: mi stava bene così. Perché a Napoli si vive di estremi, in un luogo pieno di un’energia diversa, che gli stessi abitanti faticano a gestire.”
Bollani ci propone una città precedente al boom dello sviluppo economico e alla decadenza contemporanea, con il pregio di non disegnare uno scenario inamovibile, bensì una realtà pulsante che il jazz innerva di sbocchi e alternative immaginarie, risollevando le antiche melodie dal ruolo di rovine materiali, infondendo una dignità piena a sogni resi inimmaginabili dallo scadimento etico e persino fisico.
Bollani e la sua musica, un poco come mutatis mutandis è stato scritto di Maurizio Cucchi e la sua poesia, sono uno stimolo ad affrontare, con il supporto delle risorse morali di una tradizione fiera quanto scanzonata, “l’eroico tran tran di chi vive tutti i giorni esposto alla violenza della storia e ancor più del Tempo”.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome