Definitely Bruce!!!

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© Foto: Riccardo Medana

Io non lo so se la mia memoria comincia a perdere colpi, ma quello che ho visto domenica 3 luglio a San Siro è il più bel concerto di Springsteen che io abbia mai visto! Certo, non sono stata a Zurigo nel 1981, né al Capitol Theater di Passaic NJ del ’78 (immortalato nel bootleg forse più famoso di sempre, intitolato non a caso “Piece de Resistance”), così come in tantissimi altri posto. C’ero però a San Siro nel 1985, il concerto della rivelazione, nel 2003 , quello del nubifragio, che Bruce ricorda come uno dei suoi 5 migliori concerti di sempre, nel 2008, che costò una denuncia e un processo al promoter – poi assolto in duplice grado –  per aver sforato di 22 minuti il limite oltre il quale non si poteva suonare in città, nel 2012, il primo senza Danny Federici e Clarence Clemons, e nel 2013, quello di Our Love Is Real, diciamo così. E c’ero anche in tante altre serate, tutte o quasi quelle fatte in Italia e tante altre sparse nel mondo. Ultima in ordine di tempo, Goteborg (da sempre autentica roccaforte Springsteeniana) una settimana fa. Tutti concerti bellissimi, spesso fantastici, straordinari in molti casi.

Quello che però ho visto domenica 3 luglio 2016 è qualcosa di assolutamente epocale. Lo avevo scritto su questa rubrica proprio dopo lo show di Goteborg: nessun pubblico al mondo può competere con quello di Milano, nessuno stadio al mondo può eguagliare l’atmosfera che si crea a San Siro, nessuna città al mondo carica e stimola Bruce come Milano, e domenica lo ha (ri) confermato lui stesso. “Questo posto è davvero speciale per noi, siete il miglior pubblico del mondo”, the best audience in the world. Ed è per questo motivo che ciò che si vede, si ascolta e si “sente” qui non paragoni al mondo.

Domenica a Milano fa un caldo infernale, alle 7 siamo già tutti dentro, il colpo d’occhio è impressionante ma è nulla al confronto del boato che accoglie la band, amplificato a dismisura all’ingresso di Bruce, e dell’espressione dipinta sul suo volto quando  si ferma di fronte a quel muro umano colorato che forma l’ennesima dichiarazione d’amore infinito nei suoi confronti: DREAMS ARE ALIVE TONITE. E’ vero, stasera i nostri sogni sono tutti vivi, e anche noi lo siamo – tutti – un po’ di più. Perfino Bruce che ha i lucciconi agli occhi e l’aria un po’ sorpresa, nonostante San Siro sia casa sua e nonostante conosca ormai bene di cosa siano capaci questi “pazzi italiani”, come ci chiama lui. E’ un attimo che ti si appiccica subito al cuore, poi attacca “Land of hope and dreams” e inizia la festa. Si capisce che stiamo entrando nella leggenda quando Bruce attacca “Independence Day” sorretto da un coro iniziale assolutamente estemporaneo, e se hai anche tu un padre al quale non hai fatto in tempo a dirgli quanto lo amassi, non puoi che scioglierti in lacrime, con Bruce che è lì, davanti a te, di nuovo con gli occhi umidi e lo sguardo attonito e grato. Abbiamo la conferma di vivere una serata leggendaria quando arriva l’intro al piano di Roy Bittan che ci annuncia una “Point Blank” mai così sofferta. Ma la conferma definitiva alle nostre speranze e alle nostre sensazioni arriva con “Trapped”, eseguita subito dopo: la cover del pezzo di Jimmy Cliff (scritta all’inizio degli anni ’70) Bruce la ritira fuori dalla scaletta del primo San Siro, quello memorabile del 21 giugno 1985. Sembra quasi un omaggio a quel concerto, a questa città, a questo pubblico. E’ potente, sussurrata e urlata al tempo stesso da Bruce che dalla sua gente, di rimando, ha un ritorno senza pari. Da questo momento in avanti il concerto sale ancora un gradino: “The Promised Land” è un atto di fede collettivo, “I’m a Rocker” una dichiarazione di identità condivisa, “Lucky Town” (richiesta da un cartello che recita “20 concerti e mai Lucky Town”) la promessa di liberarsi dalla malinconia proprio qui, nella città fortunata: I wanna lose these blues I’v found…

Arrivano anche “Drive All Night”, un capolavoro, “Because The Night”, mai così bella, “The Rising” e “Badlands”. Sul piano emotivo potrebbe bastare anche così, ma con Springsteen non devi mai dare nulla di scontato, soprattutto quando ci sono di mezzo le emozioni, quelle forti. E allora ti fa partire “Jungleland” e la esegue in maniera assolutamente perfetta, talmente perfetta da toglierti il fiato: l’urlo con cui la chiude squarcia non soltanto la notte milanese che nel frattempo si è fatta bollente, ma anche la tua anima. Anche stavolta, però, sai che non si fermerà qui. E infatti arriva un’altra sequenza per coronarie forti: “Born In The U.S.A.”, “Born To Run”, “Ramrod”, “Dancing In The Dark”, “Tenth Avenue Freeze Out”. Bruce chiede di illuminare la folla e chiama il call and response al suo pubblico che risponde come nessun altro pubblico al mondo: le luci sono tutte accese adesso, Springsteen vuole guardare bene la sua gente, il suo popolo di “pazzi italiani”. Ed è vero siamo tutti pazzi in questo momento. Mi guardo intorno e vedo le persone più diverse che ballano, si abbracciano, cantano, urlano, tutti felici e commossi per l’ennesima prova d’amore infinito del ragazzo del New Jersey che non finisce mai di stupire. C’è la ragazzina al suo primo concerto venuta col papà, c’è il rocker coi capelli lunghi gli orecchini e gli occhiali a specchio, c’è l’aspirante modella in cerca di lavoro a Milano, c’è la signora borghese col filo di perle, c’è l’impiegato di banca, c’è il diciottenne al suo quinto concerto con mamma e papà che lo hanno cresciuto a latte, biscotti e canzoni del Boss, c’è il manager, l’operaio, l’avvocato e lo scrittore, il giornalista, il professore e lo studente, ci sono bambini con le cuffie che attutiscono i suoni troppo forti che ballano sulle spalle dei propri genitori, ci siamo tutti noi, innamorati di questo  uomo di 66 anni che continua a farci sognare.  Chissà se anche John Elkann (si c’è anche lui in tribuna) starà ballando e saltando, abbracciato a qualche sconosciuto fratello springteeniano…

Non è ancora finita però perché c’è ancora tempo per un’interminabile, sconvolgente, travolgente e stratosferica “Shout”: una canzone portata al successo nel 1959 (dagli Isley Brothers) che si trasforma – di nuovo – nel più grande coro botta e risposta della storia del rock’n’roll, nella più grande festa da ballo spontanea per 60.000 persone, nel più incredibile rito magico dell’era contemporanea. Bruce non si ferma più, e noi con lui. Suona, salta, canta, esce – solo per un attimo – dal palco e rientra chiamato dall’intero stadio. Un saluto alla band e lui è di nuovo lì, con la chitarra e l’armonica ad intonare un’intensissima e tenerissima “Thunder Road”, la sua canzone più significativa. E’ il modo migliore per salutarci, chiudere la serata e tornare sul Lago di Como a recuperare le energie per domani.

E’ incredibile, eppure è tutto vero. Io non lo so se ci saranno altri concerti così, stasera Bruce sarà di nuovo protagonista a San Siro e il 16 luglio sarà anche a Roma, in un posto assolutamente magico della città, il Circo Massimo cuore della Roma Antica e fiore all’occhiello (se ce n’è ancora uno) della Roma di oggi. Io no lo so cosa succederà in questi due show. So però che quello del 3 luglio 2016, per intensità, per passione, per la scelta delle canzoni, per la carica emotiva, per l’energia che ci ha messo Bruce, e per quella che gli abbiamo rimandato noi,  è stato il più bel concerto che io abbia mai visto di Springsteen. “Ma sono anni che lo diciamo”, mi fa notare qualcuno che come me ama da sempre Bruce. No, stavolta è diverso, anche quel velo di malinconia che ha sempre accompagnato Springsteen fin dall’inizio della sua carriera, e che con il passare degli anni non può che aumentare, ha contribuito alla magia della serata, e forse ha fatto la differenza. Resta, come sempre, l’impressione (e nel mio caso la certezza) di aver assistito alla migliore rappresentazione artistica contemporanea e alla più grande celebrazione della gioia di vivere, nonostante quel pizzico di malinconia. Ma anche questa fa parte della vita…

LA SCALETTA DEL CONCERTO:

  1. Land of Hope and Dreams/ 2. The Ties That Bind/ 3. Sherry Darling/ 4. Spirit In The Night/ 5. My Love Will Not Let You Down/ 6. Jackson Cage/ 7. Two Hearts/ 8. Independence Day/ 9. Hungry Heart/ 10. Out In The Street/ 11. Crush On You/ 12. Lucille/ 13. You Can Look (But You Better Not Touch)/ 14. Death To My Hometown/ 15. The River/ 16. Point Blank/ 17. Trapped/ 18. The Promised Land/ 19. I’m A Rocker/ 20. Lucky Town/ 21. Working On The Highway/ 22. Darlington County/ 23. I’m On Fire/ 24. Drive All Night/ 25. Because The Night/ 26.The Rising/ 27. Badlands/ 28. Jungleland/ 29. Born In The U.S.A./ 30. Born To Run/ 31. Ramrod/ 32. Dancing In The Dark/ 33. Tenth Avenue Freeze-Out/ 34. Shout/ 35. Thunder Road.

Nel pre-show Bruce ha cantato anche “Growin’ Up”, chitarra e voce.

Patrizia De Rossi è nata a Roma dove vive e lavora come giornalista, autrice e conduttrice di programmi radiofonici. Laureata in Letteratura Nord-Americana con la tesi La Poesia di Bruce Springsteen, nel 2014 ha pubblicato Bruce Springsteen e le donne. She’s the one (Imprimatur Editore), un libro sulle figure femminili nelle canzoni del Boss. Ha lavorato a Rai Stereo Notte, Radio M100, Radio Città Futura, Enel Radio. Tra i libri pubblicati “Ben Harper, Arriverà una luce” (Nuovi Equilibri, 2005, scritto in collaborazione con Ermanno Labianca), ”Gianna Nannini, Fiore di Ninfea” (Arcana), ”Autostop Generation" (Ultra Edizioni) e ben tre su Luciano Ligabue: “Certe notti sogno Elvis” (Giorgio Lucas Editore, 1995), “Quante cose che non sai di me – Le 7 anime di Ligabue” (Arcana, 2011) e il nuovissimo “ReStart” (Diarkos) uscito l’11 maggio 2020 in occasione del trentennale dell’uscita del primo omonimo album di Ligabue e di una carriera assolutamente straordinaria. Dal 2006 è direttore responsabile di Hitmania Magazine, periodico di musica spettacolo e culture giovanili.

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